Maggio 2024, Chiaromonte e le sue Storie dedica il mese ai lavoratori Chiaromontesi

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Carlo e Francesco Vicario figli dimenticati di Chiaromonte

Procuratore Generale e giornalista il primo, 
pubblico amministratore il secondo, 
i due fratelli trovarono fortuna e successo lontano da casa.
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di Lucio Vitale




Carlo Vicario


Pochi di noi, e tranne qualcuno interessato alla storia del nostro paese, può conoscere i figli “chiaromontesi” noti e meno noti che si sono distinti in tutti le parti del mondo.
Qualcuno risulta anche sul famoso motore di ricerca “Wikipedia” come i fratelli Vicario, originari proprio di Chiaromonte.
Francesco e Carlo Vicario nacquero nel periodo successivo ai moti rivoluzionari del 1848. Anni caldi si può dire.
Il primo a venire alla luce dall’avvocato don Carlo Vicario e da Rosaria Annamaria Favoino fu Francesco, il 30 agosto 1856, e venne battezzato nella chiesa di San Tommaso il 3 settembre 1856.
Due anni dopo, ovvero il 14 agosto 1858, nasceva Carlo. Il 15 agosto 1858, nella stessa chiesa di San Tommaso, veniva battezzato Carlo.
Entambi quindi chiaromontesi, figli di quelle famiglie modestissime borghesi, numerose nella nostra poverissima terra che nella ristrettezza delle loro risorse economiche compivano sacrifici indicibili per dare ai loro figli una posizione sociale dignitosa e conforme alle loro tradizioni intellettuali.
Francesco si laureò in ingegneria e Carlo continuò la professione paterna, ovvero divenne avvocato.
Carlo è sicuramente quello che porterà più lustro alla famiglia. Il suo ingegno vivacissimo e versatile gli permise di compiere contemporaneamente gli studi classici e tecnici prima a Potenza e poi a Salerno e di conseguire la licenza liceale e dell’istituto tecnico.
Laureatosi brillantemente in giurisprudenza e scienze sociali, avrebbe, con immancabile successo, data la sua solida preparazione culturale e le sue brillanti qualità di facile ed elegante parlatore, affrontato il libero agone dell’esercizio professionale, se le disagiate condizioni economiche della sua famiglia non l’avessero posto nell’impossibilità, come la maggior parte dei giovani del nostro sud, di superare l’inevitabile periodo, a volte anche non breve di tirocinio che quell’esercizio richiede. Fu così che per il bisogno di guadagnarsi al più presto la vita, si decise per le carriere amministrative e fra queste abbracciò una delle più dignitose, vincendo, primo, il concorso per esame alla Corte dei Conti, dove ben presto conseguì per merito il grado di sostituto procuratore generale e indì quello di Procuratore Generale. Più tardi, per necessità della Corte, dovè passare alla carriera giudicante.
Ma il suo spirito geniale e poliedrico non si appagò dello studio delle discipline giuridiche e sentì il bisogno di slargarsi nei più campi della coltura letteraria, filosofica e sociologica.
Pur non trascurando le cure del suo altissimo ufficio, ch’egli adempì sempre con scrupolo e fervido zelo, non rimase insensibile alle correnti vive della realtà politica e sociale del paese ed esplicò una notevole attività nel campo del giornalismo quotidiano.
Fu apprezzato redattore della “Gazzetta d’Italia” e del “Giorno”, e soprattutto fu uno dei maggiori esponenti della allora potente Massoneria.
La sua speciale competenza nelle questioni economiche e bancarie fece ch’egli fosse oratore ascoltato e seguito nelle assemblee delle Società di credito ed economiche, che lo ebbero collaboratore nei loro consigli. Così fu sempre sindaco della Banca d’Italia, e sindaco della Banca Generale, della Società elettrica “La Maira”, della Società per l’esportazione oli minerali di Genova, della Società per le costruzioni ferroviarie delle Puglie e di altre società.
Proprio a Genova conobbe e sposò il 7 novembre 1892 Maria Mazzini, cugina del famoso personaggio risorgimentale Giuseppe Mazzini. Donna Maria, era figlia di Giovan Battista, nata il 1866, e proveniva da una famiglia ricchissima.
Dalla loro unione nasceranno 2 figli: Luigi Riccardo il 27 luglio 1895 e il 19 giugno 1900 nasceva Pia. Entrambi furono primi cittadini di Pereto. Riccardo ricoprirà ininterrottamente il ruolo di Podestà di Pereto dal 1931 al 1943. Pia dal 24 giugno 1951 al 1955 e dal 16 giugno 1956 al 1960.
L’agiatezza, però, sopravvenuta dopo il matrimonio non gli fece perdere quelle abitudini di modestia e di frugalità che costituirono forse la più spiccata caratteristica degli uomini della nostra terra.
Mediante la sua non comune perspicacia e naturale parsimonia poté costruire un vistoso patrimonio ai suoi figli Riccardo e Pia, specialmente a Riccardo il quale, seguendo il nobile esempio paterno, dopo aver fatto il suo dovere in guerra quale tenente di cavalleria, ed essersi conquistata la Croce al merito, anziché godersi in ozio il frutto delle sostanze familiari, esercitò con passione e successo la professione di avvocato, dimostrando così di essere in condizione di poter vivere con il suo lavoro. Nel 1897 i Vicario si spostarono a Pereto in provincia dell’Aquila anche se non se ne conoscono i reali motivi.
Francesco Vicario
Quello che si sa è dovuto alle vicende di Antonio “detto Totò” Maccafani, ex segretario comunale di Pereto. Questi, a causa di un dissesto finanziario, il 16 giugno 1897, vendette tutto il suo patrimonio alla famiglia Vicario-Mazzini, la quale ne prese possesso il 24 giugno 1897. La vendita comprendeva oltre 200 ettari di terreno e relativi fabbricati. Dal Maccafani verrà acquistato anche una parte del castello di Pereto, che gli eredi di Carlo venderanno nel 1968.
Con il loro arrivo a Pereto, Carlo e Francesco fecero subito parte del consiglio comunale e si diedero da fare per gestire il paese. A fronte delle loro azioni intraprese verso il comune di Pereto, il consiglio comunale propose ed approvò il conferimento della cittadinanza onoraria ai 2 fratelli il 14 settembre 1902.
Per quanto riguarda Francesco, nel 1903 gli venne conferito il titolo di Cavaliere del Regno d’Italia e una pergamena a nome del comune e delle sue frazioni, come stima dell’operato svolto da Francesco, in qualità di sindaco del paese.
Prima Francesco e poi Carlo, infatti, hanno ricoperto il ruolo di primo cittadino del comune di Pereto. Saranno sindaci nel momento in cui iniziava il Novecento, con le varie innovazioni e gli strascichi del secolo precedente. Uno dei problemi più sentiti dalla famiglia fu la sepoltura. Nel 1897 Carlo inoltrò una richiesta al comune di Pereto al fine di ottenere un pezzo di terreno al cimitero per costruirvi una cappella di famiglia, richiedendo 30 metri quadrati. Fatto sta che dopo due richieste e relative delibere non fu costruita alcuna cappella intestata alla famiglia all’interno di Pereto. Carlo, che risiedeva a Roma in via Boncompagni, si spense nella citta leonina il 17 marzo 1929 dopo una breve malattia.
Non si sa dove fu sepolto inizialmente, perché solo nel 1931 il figlio Riccardo ottenne dal comune di Roma una concessione per avere sepoltura presso il cimitero di Verano. Fu eretta una cappella.
Qui iniziarono ad essere sepolti alcuni esponenti della famiglia a partire da Carlo. Francesco morì nella propria abitazione in Pereto il 4 giugno 1936. Secondo una lapide posta sulla loro abitazione in Pereto, fu un certo fratello Giuseppe di professione avvocato (nato a Chiaromonte nel 1863 e morto a Roma nel 1949) a depositarla in perenne ricordo del caro estinto. Quindi Carlo e Francesco avevano un fratello ma di lui si sa poco e niente.
Secondo la concessione richiesta dal nipote Luigi Riccardo, la sua salma fu tumulata nella cappella dei Vicario al Verano nel 1949.  Nel 1938 il fratello Giuseppe richiese un'altra concessione sempre al cimitero del Verano e fece realizzare un'altra tomba, in cui nel 1938 furono trasportate le spoglie di Francesco.
Il 19 marzo 1948 in Roma, in via Bertolazzi, moriva Maria Mazzini, che verrà sepolta nel Verano, nella cappella dei Vicario il 23 marzo 1948. Il 19 settembre 1953 in via Boncompagni moriva Luigi Riccardo e nella stessa casa il 20 luglio 1993 moriva sua moglie Elisabetta Giuseppina Sottocasa, nobildonna milanese.
La sorella Pia, morirà a Roma il 22 giugno 1964 e sarà sepolta nel cimitero di Pereto. Se i fratelli, o uno di loro, sono ritornati a Chiaromonte dopo la loro carriera non si sa, non ci sono tracce del loro passaggio anche per brevi periodi nel loro paese natale, anche se la prestigiosa rivista dell’epoca “Basilicata nel mondo” (1924 – 1927) in una nota biografica menziona proprio Carlo e il suo amore per la sua amata Lucania. Sarebbe interessante ridare a questi cittadini vissuti altrove e che hanno portato con orgoglio il nome di Chiaromonte nel mondo, una mostra fotografica e un breve accenno per ricordarli e farli conoscere alle nuove generazioni che oggi un po’ si vergognano di vivere nei nostri piccoli centri lucani o nel Sud in particolare.

Oggi, tramite le colonne del “Quotidiano della Basilicata”, voglio continuare io questo percorso, come da qualche anno sto facendo, semplicemente ricordandoli così e chissà un domani creando un’associazione o un libro che serva per dare un volto ai tanti emigranti che sono morti con il solito “pugno di terra” del proprio paese nel comodino, perché la storia ci insegna che si può partire anche per l’America ma le proprie origini le porti nel cuore fino alla fine dei tuoi giorni. 


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ZANARDELLI, LA VALLE DEL SINNI E LA FERROVIA DIMENTICATA

UN SOGNO IRREALIZZATO
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L'idea del comitato "Ferrovia Valle del Sinni - Chiaromonte", di collegare un pezzo di Lucania all'Italia.



Di Lucio Vitale
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Articolo pubblicato anche su Il Quotidiano del Sud








“La valle del Sinni e la sua ferrovia mai costruita. Storia di un area abbandonata a se stessa”. 

Potrebbe sembrare il nome di un saggio storico, ma è la sfortunata storia dell’area Sud della Basilicata e del viaggio del presidente del consiglio Zanardelli, che invitato a visitarla, non riuscì a raggiungere la nostra valle. 
Una storia sospesa da oltre 100 anni e che resterà purtroppo un sogno. 
Oggi siamo abituati, e non a torto, a lamentarci delle lunghe distanze, delle strade impraticabili, dei servizi pubblici carenti e tanto altro. Senza spingerci oltre nel tempo, cercate di immaginare come doveva essere la Lucania di fine 900 e più precisamente nel 1885 tra i comuni di Chiaromonte e Teana. 
Questa carenza sociale non passò inosservata, anzi, si erano posti il problema di come affrontare la questione i rappresentanti del  “Comitato della Ferrovia Valle Sinni-Chiaromonte”.
Giuseppe Zanardelli,
l'allora Primo Ministro
Dopo l’unità d’Italia, la Basilicata contava, con un territorio di poco più di 10 mila chilometri quadrati, una popolazione di quindicimila abitanti circa. Gran parte della regione era afflitta da un grave dissesto idrogeologico. Se togliamo le aree occupate da fiumi, torrenti, zone montuose e boschive, pascolo e colture, il quadro è quello di un paese spoglio, con un’economia in prevalenza cerealicola-pastorale. Ancora più impressionante apparivano i problemi riferiti all’analfabetismo, (nei primi del 900 si contava oltre il 70% della popolazione) alla mortalità infantile e all’igiene. 
Altissima, infatti, era la frequenza delle morti per malattia dell’apparato digerente, per la malaria e per il tifo. Nel triennio 1899-1902, per esempio, morirono di malaria e di cachessia palustre 166 persone ogni 100 mila abitanti, rispetto ai 39 su scala nazionale. In questo disastroso quadro si aggiungeva l’inesistenza di istituti bancari in grado d’incrementare gli investimenti bancari. 
La Basilicata, infatti, non compariva nella graduatoria nazionale dell’epoca delle società di credito fra le regioni meridionali. La conseguenza, estremamente dannosa per la regione, ebbe conseguenze notevoli anche nel circondario di Lagonegro, mandamento di Chiaromonte, dove le preoccupazioni erano rivolte allo spostamento migratorio. L’emigrazione, infatti, determinò la perdita di una vigorosa manodopera, ma non solo, perché determinò anche la cosiddetta “fuga dei cervelli”, che rimasti improduttivi nella terra natia, trovarono nei paesi ospitanti la possibilità di esprimersi e di raggiungere i più alti gradini della scala sociale. 
Non bene la situazione viaria. 
Il dott. Antonio Vitale di Teana
Sulla regione pesavano la scarsità di sbocchi commerciali, l’assenza pressoché completa di una struttura stradale e di una ferrovia. 
Proprio sulla questione ferrovia, cittadini attenti e laboriosi dell’epoca fecero la loro lotta, tra cui il dottor Antonio Vitale di Teana, (San Chirico Raparo 1849 – Teana 1937) presidente del “Comitato della ferrovia Valle del Sinni-Chiaromonte”. 
Il dottor Vitale, non se la sentì di tacere l’abbandono di un territorio importante, come la Valle del Sinni, da parte del neo governo e, armato di penna e calamaio scrive alla stampa chiedendo al governo un tronco ferroviario che scendeva da Lagonegro, Lauria, Latronico, Fardella, Chiaromonte, Senise ecc, per poi confluire nel circondario di Castrovillari (CS). 
L’importanza della strada ferrata era indiscutibile: i vantaggi erano reali. 
Un’opera del genere avrebbe garantito non solo lo sviluppo di un territorio, ma nuove opportunità di sviluppo economico e quindi la gente non avrebbe più abbandonato la propria patria. 
L’occasione giusta si presentò qualche anno dopo. La situazione di degrado in cui versava la Basilicata, spinse il presidente del consiglio Zanardelli a visitare la Basilicata. Zanardelli, fu il primo presidente del consiglio dei ministri a rendere omaggio a questa terra, dalla quale prese avvio la dimensione nazionale della questione meridionale. 
Fu un viaggio massacrante, che però consentì a Zanardelli di rendersi conto della miseria di una terra derelitta. 
Accolto con tutti gli onori dalle popolazioni dei numerosi comuni che visitò, la comunità lucana era sicuro di un suo intervento, tra cui proprio il dottor Vitale che con Zanardelli intratteneva rapporti epistolari. 
Nel 1902 lo incontrò a Policoro. In precedenza l’onorevole gli aveva promesso che avrebbe visitato la Valle del Sinni, come è documentato in un libro-memorie del dottor Vitale, in una lettera datata 28 agosto 1902. 
Purtroppo, proprio il dottor Vitale si rammaricò per l’intera vita del mancato arrivo di Zanardelli nel territorio di Chiaromonte-Teana, poiché il viaggio dell’Onorevole, protrattosi dal 17 al 30 settembre, si fermò a Lagonegro. 
Andò così perduta una ghiotta occasione di mostrare ai vertici istituzionali e al governo la reale situazione in cui versava l’entroterra lucano. 
Ma le speranze non erano del tutto spente. 
A termine della sua visita in Basilicata, il presidente Zanardelli, sollecitato dalle denunce di Nitti, Fortunato e da numerose petizioni di enti e comitati come quello del dottor Vitale, incaricò l’ingegnere capo del Genio Civile di Cagliari, Eugenio Sanjust, di esperire una relazione generale sui problemi locali. 
Quella che fu definita “l’inchiesta Sanjust”, costituì, successivamente la base per il testo di legge speciale per la Basilicata, approvata alla camera nella tornata del 23 febbraio 1904. 
Chiaromonte negli anni 30.
Foto di: sconosciuto
Grande merito va a Zanardelli, per aver saputo cogliere in tutta la loro estensione i problemi contingenti di una nazione giovane e di aver saputo mantenere le promesse per quanto gli fu possibile. 
A causa di una malattia terminale, si congeda definitivamente dalla scena politica nazionale, dando le dimissioni da primo ministro il 3 novembre 1903. Morirà poco più di un mese dopo. 
Ecco che sfuma definitivamente il sogno di un’azione seria e concreta di governo, anche se Zanardelli non visitò mai la Valle del Sinni. 
Di anni ne sono passati più di cento. Si sono succeduti governi, politici e occasioni d’oro. Neanche il boom economico degli anni ’60 ha risolto un problema che di difficile non aveva nulla. 
Una lucida e attenta analisi di questa mancata attenzione verso questo territorio divide l’opinione pubblica: ultimamente, per alcuni, si fa strada l’ipotesi di oscure manovre politiche per lasciare l’area Sud abbandonata a se stessa escludendola dalle stanze del potere, mentre altri tendono semplicemente a sminuire il problema dicendo che la nostra valle è bella così, pura e nuda, lontana dai caotici movimenti cittadini e avvalorata soltanto dalla natura e dai suoi paesaggi mozzafiato nel cuore del Parco nazionale del Pollino. 
Chissà chi dei due si contende la ragione, fatto sta che una ferrovia avrebbe cambiato notevolmente il flusso, anche solo turistico di questo territorio. 
Al di là dei giudizi personali, questa storia, dimenticata o del tutto sconosciuta, meritava di essere riportata alla luce e di dare un merito almeno a chi già cento anni fa lavorava per migliorare il proprio territorio.

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