Ottobre 2024 mese dedicato a Zë Giuànnë “u ‘Mbrònë” Cuccarese

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U Pëccëllætë

U Pëccëllætë
Storia, antico rito e tradizione Chiaromontese

di G.D. Amendolara

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Storia inserita in Archivio > Tradizione culinaria



a sinistra u tòrtënë, a destra u pëccëllætë

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Antico rito Chiaromontese


“Raccoglievano le uova sin dopo le Ceneri, conservandole e custodendole come un bene prezioso.
Pronto anche u cruscèndë da qualche giorno, il mercoledì della settimana Santa impastavano i due ingredienti insieme a farina, acqua, sale, ‘nzògnë e, a piacimento, anche un goccio di vino bianco, lasciandolo riposare e lievitare ‘nda fazzatòrë sino al mattino dopo, quello del Giovedì Santo.
Prima dell’alba le forme pronte venivano infornate. A differenza del pane, posato sulla stessa šcanætë senza un ordine preciso, per i pëccëllætë la tradizione prevedeva una sequenza da rispettare:
Il primo sfornato era per Gesù Cristo, da portare in chiesa per l’ultima cena.
Il secondo per il capofamiglia.
Il terzo per la madre.
I quarti, pùpë per le femminucce(una treccia con un uovo incastonato cosi da somigliare una bambola avvolta nel fagotto) e trastanèllë (a forma di borsetta) per i maschietti.
I restanti per l'ariè da mësèrëcordië, da dispensare agli affetti e ai bisognosi.
E vedevi, come per il sanguinaccio, tra famiglie e vicinato, lo scambio dei Pëccëllætë, e la donazione di questi a chi ne aveva più bisogno”.



Pëccëllætë e tòrtënë.
Forno De Palma



Storia e tradizione
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“Mamma mië m’è chiamætë pëccëllætë e i më morëghë da fæmë”
Recitava un vecchio modo di dire Chiaromontese



Pëccëllætë di Gabriele Ricciardi
Sentivano la Pasqua ancor più del Natale i nostri avi.
Rispettarne le tradizioni, come quella du Pëccëllætë, saziava e rafforzava dovere e gratitudine verso Dio.
In principio, come narrano le testimonianze tramandate, era un pane azzimo, na pëttëcella lìscë senza sale (in chiaromontese pëttëcèlla gàimë) con incastonata una foglia di ulivo.
Quasi certa è l’influenza di altre culture gastronomiche che ne hanno arricchito l’impasto e la forma ancora attuali.
A riguardo, chi ipotizza l’intreccio tra la tradizione gastronomica Pasquale Lucana e quella Arbëreshë, chi con quella Partenopea o campana, fortemente presente nei nostri usi e costumi, la più attendibilie, in quanto u Pëccëllætë a Chiaromonte veniva chiamato Tòrtënë, tortano, come il tipico rustico della tradizione Pasquale napoletana.
È una tradizione ancora viva in gran parte del meridione, con forme o nomi diversi.

La versione "antica".
Forno De Palma

A Chiaromonte prevale la versione salata.
Dall’impasto si ricavano anche altri pani Pasquali come i già citati pùpë e trastanèllë, e u tòrtënë, o turtanièllë, nu pëccëllætë senza uova incastonate.
La forma a “ciambella”, circolare, è un simbolo strettamente religioso, e richiama la corona di spine sul capo di Gesù Cristo.

Produzioni della rosticcera “Le buone cose”
In basso: a sinistra a pùpë, al centro a trastanèllë.
In alto a destra la versione dolce


Il rito du Pëccëllætë è andato perduto da decenni.
In casa ormai non lo produce quasi più nessuno, e la tradizione regge grazie al lavoro dei mastri fornai Chiaromontesi.
Gli asparagi, però, quelli li raccolgono quasi tutti, e la frittata per la colazione di Pasqua non si mangia se a tavola non gænë u pëccëllætë, a pùpë e a trastanèllë.



Storie collegate:


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U Mastærë (il bastaio)

Di Pinuccio Armenti


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Storia inserita in Archivio > Chiaromontesi raccontano



nota: in questa storia non ho apportato alcuna correzione nelle parole in dialetto, e tantomeno nel modo di scrivere.
Pinuccio manca dal paese da sessant'anni, gli stessi in cui vive in Germania, e desidero che tutti voi siate testimoni del suo amore immutato verso il nostro paese, il più bello del mondo.




La bottega e casa di Angelo Donato, sulla destra,
abbattuta per far posto al Palazzo degli Uffici



Prefazione
dell'autore

Cari compaesani dopo avere letto l'articolo del nostro Giovanni in Chiaromonte e le sue Storie dove descrive cosi' bene come era bello il tempo quando si uccideva u puorc nda chesa. 
Pensando, mi sono chiesto: Ma tutto questo progresso ha fatto bene al nostro paese?  
Lo so, io ho 80 anni e manco dal nostro paese da parecchi anni, quindi non posso giudicare obbiettivamente l'evoluzione che c'è stata in paese.  
Ammetto anche che si deve andare con il tempo ed è giusto che sia cosi. 
Però, perdonatemi, io sono un romanticone e penso spesso al tempo passato. 
Giovanni scrive: chi aveva nu puorc, nu ciuccio, grano ed olio era ricco e stava bene per un anno intero.
Ai miei tempi era bello quando camminavi ndi strittui du pais, sentivi un gallo cantare, nu ciuccio ragliare, nu puorc grugnire, qualche gallinella che ti veniva dietro.
Oggi non senti più nu scarper che batte la suola, la pialla di un falegname, l'incudine di nu furger, la macchinetta di nu master ca carusev nu ciuccio. Adesso ste vie o sti srittui tacciono. 
Solo il rumore di nu trerrote, o delle macchine che ora salgono fino al serbatoio. 
E' bene il progresso, e si deve andare coi tempi che corrono. Io sono ormai anziano, però  se vi fa piacere vorrei scrivere e ricordarvi di quei mestieri che a Chiaromonte non esistono più. 
Al nostro paese una volta c'erano dei mestieri con cui si poteva mantenere la famiglia, e stavano anche bene.
Assieme a Giovanni vorrei scrivere qualcosa su questi mestieri e magari ricordarvi di qualche compaesano che ci ha lasciato  per sempre. 
Va ricurdete ca a Chirimond  c'erano furnacer, master, scarper, falegname e furger? 
Ve ne parlero' a seguire.



U Mastærë
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Cari Compaesani e amici di Chiaromonte.
Dopo avervi parlato di zi Ndonio u Parent, che fu' l'unico fornaciaio che io ricordi, voglio parlarvi di un altro mestiere che non esiste più a Chiaromonte, e precisamente: U Master.
Per i più giovani, quelli che facevano il Basto per gli asini.
Non so di preciso quando ce n’erano al nostro paese.
Ci sono più famiglie a Chiaromonte che di sopranome vengono chiamati i master.
Io due me li ricordo benissimo. Erano i fratelli Pasquale e Angelo, Gangiluzz in dialetto, Donato.
Io vi parlo degli anni 50.

Donna con asino.
Attaccato allu mast, due sportoni,
dove, oltre trasportare i raccolti della campagna,
venivano utilizzati anche come vano per i bambini.
© Edward C. Banfield - 1955


Pasquale aveva la sua bottega di fronte alla casa dei Miraglia. Gangiluzz aveva la bottega, ancora non c'era il palazzo degli Uffici, sotto u Mur da porta.
Allora c'era na bella discesa anche con dei gradini che andava du mur da porta e scinnie alla Costa. E li Gangiluzz, aveva na chesecell e da sotto avie a puteg.
Poi costruirono il palazzo degli Uffici, se non sbaglio il 57, e dovette lasciare tutto e comprò casa di fronte alla tipografia di Luigi Racioppi.
Poi se ne andò con tutta la famiglia a Torino.
Ma tornando al mestiere, i master allora avevano un sacco di lavoro.
A Chiaromonte quasi tutti i contadini avevano u ciuccio o anche il mulo.
A quei tempi era il mezzo di trasporto più usato per quelli che andavano in campagna.
U ciucc purtev a samm. Senza du mast, non sarebbe stato possibile.
Ai lati du Mast si mettevano due cofani o spirtun, e la dentro si ci metteva tutto quello che la campagna dava.
Gësèppë Tërribbuwë
lega gli sportoni allu ‘mmastë.
Foto: Nicola Donato
I Muli portavano la legna per l'inverno a quelli che facevano la provvista, cosi i propietari si guadagnavano la giornata.
U master faceva si ca allu ciuccio non gli mancava niente.
A puteg si può paragonare come un officina di macchine oggi.
A volte era bello vedere che c'erano 3, 4 asini che aspettavano il loro turno.
Non so dirvi quanto costava nu mast, però credo che allora era una bella somma da pagare.
Non è ca nu mast si facia nda nu pere d'ore. Ci volevano un paia di giorni.
Poi un altro lavoro che facevano i master, era la tosatura degli asini. Ogni mese veniva tagliato il pelo, cosi non sudavano tanto quando avevano il peso sulla groppa.
La macchinetta era come quella che usavano i barbieri naturalmente molto più robusta. Si doveva essere in due. U master tosava e u patrun du ciucc o un altra persona doveva girare una manovella che era attaccata ad una specie di trepiedi. Poi c'era una specie di tubo di metallo lungo un paio di metri. Questa manovella, girandola ad un certa velocità, attivava la macchinetta che era collegata con questo tubo (non trovo la parola adatta) che faceva funzionare il tutto.
Pasquale aveva il figlio Paolo che gli dava una mano, ma poi anche lui cambiò mestiere. Invece Gangiluzz non aveva nessuno.

Foto di Giuseppe Comito

Anche io, dopo la scuola, quando non sapevo cosa fare, andavo ad aiutare a girare la manovella, cosi mi guadagnavo qualche 10 lire. Forse da li mi è venuta la voglia di fare il barbiere.
Nooo!!! Stavo scherzando.
Agli inizi degli anni 60 gli asini incominciarono a sparire.
Io partii per la Germania, quindi no so per quando tempo Pasquale ha fatto il suo mestiere.
Col passare degli anni a Chiaromonte non ci furono più asini, di conseguenza morì pure il mestiere du Master.


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