Ottobre 2024 mese dedicato a Zë Giuànnë “u ‘Mbrònë” Cuccarese

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Il 25 aprile e Chiaromonte antifascista

 di G.D. Amendolara

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Storia inserita in archivio > Chiaromontesi raccontano


In memoria di Antonio Pozzi,
eroico carabiniere e Chiaromontese
barbaramente ucciso dai nazifascisti



“se non è oggi, sarà stasera, la gente nera, la gente nera.
Se non è oggi, sarà stasera, la gente nera l’edda sparì”
Canto dei ribelli Chiaromontesi




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Questa che stai per leggere è un esclusiva di
Chiaromonte e le sue Storie
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Chiaromonte,
secondo ventennio del 900.

Con ancora gli occhi pieni di lacrime per quei quaranta nomi perduti nella Grande Guerra, a pochi mesi dalla sua fine, i Chiaromontesi affrontarono un nuovo e più cruento incubo: il fascismo.
L’opposizione non si fece attendere, nonostante le leggi in vigore che con la loro durezza ottennero silenzio e sottomissione.
A non rimanere inermi furono soprattutto i socialisti che, costretti alle dimissioni nel 1923 dopo 18 anni di amministrazione, si organizzarono come meglio poterono e, clandestinamente, diedero inizio ad un aspra lotta contro l’attività della “gente nera”.
A dare loro man forte gran parte della popolazione che ad ogni occasione possibile, con agguati e sotterfugi, ripagava il nemico con la stessa moneta.
Popolo storicamente pacifico, il Chiaromontese con l’avvento del fascismo diede grande dimostrazione di forza e coraggio e. a riguardo, voglio raccontarvi un episodio in particolare, realmente accaduto nel 1943.

“Attraversando a gran velocità la strada 104, alcuni soldati tedeschi a bordo di una camionetta, in fuga dal bombardamento di Sapri, giunti a Santa Caterina si ritrovarono coinvolti in uno scenario imprevedibile.
Tre giovanissimi pastori, tre bambini, al pascolo col gregge nella zona, notato il polverone arrivare spedito in loro direzione, trasformato in coraggio la paura che li fece dapprima nascondere, attaccarono ferocemente il mezzo con una fitta sassaiola, mettendo in fuga i soldati verso chissà quale destino”.

Da sinistra: Nicola Scalera, Raffaele Amendolara,
Luigi Cafaro

I nomi dei tre piccoli ma grandi eroi sono Nicola Scalera (grattaciàrsë), Raffaele Amendolara¹ (da Mulënærë) e Luigi Cafaro (Cucchiarònë).

In quello stesso anno, con esattezza il 30 dicembre, a Forte Bravetta veniva fucilato, dopo severe torture, il nostro eroe Antonio Pozzi, carabiniere e partigiano² contro l’oppressione nazi-fascista.

Antonio Pozzi

Tra arruolamenti, vittime, arresti, deportazioni, restrizioni, obblighi, pestaggi e soprusi di vario genere, l’impatto della seconda guerra mondiale e del fascismo sul nostro paese causò disagi a dir poco insopportabili.
Se durante la Grande Guerra il nemico lo conobbero grazie alla corrispondenza, ora lo avevano in casa, in mezzo a loro, e lo sarebbe stato per un “ventennio”, il peggiore della nostra storia.




Aprile, 1945.

Dal resto della nazione arrivarono notizie rincuoranti.
Partigiani, esercito e alleati attaccarono con bruta forza il nemico tedesco duro a cadere.
Una mattina calda di primavera, arrivò la tanto attesa notizia.

“ SIAMO LIBERI! È FINITA!”

Cosi, con un urlo di gioia, il capitano dei carabinieri avvisava che la guerra era finita.
La popolazione intera venne informata dal banditore Vincenzo Battista, e fu gioia per tutti, Chiaromontesi e anche carabinieri, che a caro prezzo pagarono la loro fedeltà verso il popolo.

Carabinieri negli anni 30
davanti alla "vecchia caserma"

Fu così che ebbe inizio una nuova epoca per il nostro paese, quella che gli donò finalmente la tanto meritata dignità.
I fascisti rimasti non ebbero vita facile. Più di qualcuno decise di andarsene altrove.
Chiaromonte era libera, e questa volta davvero ma, con gran stupore, come tutto il meridione, al referendum costituzionale del 2 giugno 1946 votò quasi all’unanimità per la monarchia.
Questa, però, è una altra storia che racconterò in un futuro non tanto lontano.

La storia che avete appena letto è stata ispirata dal bellissimo video testimonianza di Giuseppina "a guàrdië" e dalla testimonianza dei tre piccoli eroi raccontata da Tonino Scalera (figlio di Nicola).
Avrei voluto raccontare molto altro, ma per adesso credo possa bastare.
Vi ricordo che siamo qui per ricordare, per raccontare e mai dimenticare, soprattutto i sacrifici dei nostri avi, coloro che hanno permesso a noi di godere della libertà e del benessere dei nostri giorni.



Emanuele Giglio immortala la testimonianza di sua madre, Giuseppina De Noia,
sulla liberazione dal fascismo.
Se il video non dovesse riprodursi,
potete visionarlo cliccando qui,
ma solo se siete iscritti al gruppo.



Ringrazio di vero cuore Tonino Scalera, Lino Cafaro e Emanuele Giglio.


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¹ è da ritenersi probabile fino a conferma definitiva

²  venne qualificato nel 1946 come partigiano combattente del Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri.


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QUÀNN’È TÀNNË PÒ VËDÌMË

Di G.D. Amendolara
in collaborazione con Debora Percoco
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Storia inserita in Archivio > Chiaromontesi raccontano




Mario Percoco, a sinistra, e Giovanni Cafaro a destra



Il Minimarket di Mario pareva un piccolo supermercato.
Stretto, lungo, diviso in tre blocchi dove trovavi di tutto, dai prodotti d’eccellenza ai giocattoli.
Lo gestiva insieme alla moglie Rosa, con la quale trasformava quel negozio in una casa pronta ad accogliere tutti.
Lo conoscevano tutti Mario.
Gentile, scherzoso, dedito al lavoro e alla famiglia, amante della buona compagnia e soprattutto della buona musica, ancor più apprezzata se suonata dal fidato amico, l’inseparabile violino.

Giuànnë Cucchiarònë era un simpaticone. Conoscevano anche lui in paese.
Amava l’allegria, la buona compagnia e la musica. Che fosse l’arrivo della banda o di un gruppo musicale per un evento sapevi dove trovarlo.
Ogni giorno prima di rientrare per pranzo, passava al Minimarket per salutare il suo caro amico Mario, sempre pronto a scambiare due chiacchiere con amici e clienti, inclusi quelli seduti sulla scaletta di fronte alla cassa e che non acquistavano niente.
Un giorno, arrivato puntuale in negozio per il classico saluto, tra una chiacchiera, una risata e una diceria, “Cumba Ma” saltò su con espressione seria:“M’eia prummèttë ca quànnë morëghë ‘nda chièsië m’eia sunǽ Violino Tsigano” concluse.
Di eventi e momenti Mario e il suo violino ne allietavano tantissimi, dalle serenate alle cerimonie, alle serate in compagnia. Funerali no. Erano le bande ad accompagnare le cerimonie funebri.
Cosi, spiazzato, “Giuà, piènzë a cambæ’, che quànn’è tànnë pò vëdìmë”, rispose, e rispondeva a tutti i rinnovi di quella richiesta.

Il tempo passò
Dopo anni di lavoro e sacrificio, Mario si apprestava a godersi la tanto meritata pensione e, soprattutto la famiglia.
Giovanni non ebbe la stessa fortuna.
La sua salute venne meno e, allontanatosi dal paese per le cure, si spense in un mite giorno d’estate.

1996

Giovanni rientrava nella sua amata Chiaromonte per l’ultimo viaggio.
Ad attenderlo amici, conoscenti e parenti.
Anche Mario lo attendeva, abbattuto, adirato e senza violino tra le mani, riportato in macchina perché non poteva, il parroco non voleva.
No! Non aveva dimenticato e tantomeno preso alla leggera quel “Cumba Mà, m’eia prummèttë…” sentito dire chissà quante volte.
Era uomo d’altri tempi, di buona famiglia e di sani principi, e manteneva la parola data.
“Quánn’è tánnė po vėdímė” era arrivato, ma non poteva, e non accettava l’idea che ad un defunto venisse negato l’ultimo desiderio.
Terminata la funzione, tra la calca di gente che fuoriusciva per l’ultimo saluto, di Mario neanche l’ombra, se n’era andato molto prima, avvolto da rabbia e dolore.
Però, oltre che essere un amicone, un seminatore di allegria, un personaggio amato, Mario era soprattutto un Chiaromontese, di quelli di una volta e, nel mentre il feretro si incamminava verso il carro funebre, col suono del violino invase ogni spazio, dentro e fuori.
Lo aveva recuperato. Si era appostato sulle scale della Chiesa, lì dove nessuno poteva cacciarlo e, ora avvolto dall’emozione, con le note di Violino Tsigano accompagnava quel piccolo uomo, il suo caro e buon amico Giovanni, nel suo ultimo viaggio, così come desiderava in vita.

Mario, al centro. Vittorio Monaco a sinistra
e Franco Amendolara sulla destra,
in una serata "concerto" insieme al
mandolinista Umberto Armenti "Mazzòccuwë"
e a Franco Ricciardi "il pasticciere"

Questa è una storia vera, fatta di amicizia, rispetto e valori.
La raccontò Mario a me e mio padre proprio lì, sulle scale della chiesa, in preda a mille emozioni, come se stesse vivendo quel giorno, nel minimo dettaglio, senza tralasciare nulla.
Ora sono entrambi allu mùnnë dë læ, come dicevano i nostri avi, di nuovo insieme, e chissà, magari Mario è li col violino tra le mani che allieta le ore eterne, e Giovanni, affinando la sua voce, ne canticchia i motivi, strizzando gli occhi, sorridendo e alzando le spalle per l’emozione.

Abbiano Paradiso. Lo meritano tutto, e seduti nei posti migliori.




Ringrazio di vero cuore Debora Percoco, Isabella Veronesi e Pino De Salvo


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O Furgiærë

Di Pinuccio Armenti
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Storia inserita in archivio > Chiaromontesi raccontano



nota: in questa storia non ho apportato alcuna correzione nelle parole in dialetto, e tantomeno nel modo di scrivere.
Pinuccio manca dal paese da sessant'anni, gli stessi in cui vive in Germania, e desidero che tutti voi siate testimoni del suo amore immutato verso il nostro paese, il più bello del mondo.


Egidio Ricciardi


Carissimi Compaesani e amici di Chiaromonte.
L'amore e l'affetto che porto al mio paese e, naturalmente a voi Chiaramontesi, è immenso, ed io non mi stancherei mai di nominarlo o di parlarne, anche se ormai sono più di 60 anni che ne son lontano.
Sette anni fa venni l'ultima volta a Chiaromonte, ma purtroppo solo per mezza giornata.
Mentre portavo le mie nipotine a far vedere loro il Monumento, passando davanti al Palazzo dei Giura, mi tornò in mente che proprio lì trascorsi tanti anni della mia gioventù.
Al lato della Torre feci la scuola elementare, e poi, nella stessa stanza, imparai il mestiere di barbiere da Umberto Landi.
Prima di arrivare alla Torre, mi ricordai che c'era una forgia. Ed è proprio di questo mestiere che oggi voglio parlarvi, o meglio, scrivervi: U Furger o il Fabbro.
Negli anni 50 e 60 allu pais nuost ce n’erano parecchi di furger.
Per non fare errori vi nomino solo quelli che io ricordo.
Io ricordo i fratelli Egidio e Peppino Ricciardi. Però non ricordo più dove avessero la Forgia.
Egidio, in dialetto Gidio u furger, abitava proprio vicino a funten allu Purtiell. Lui abitava al piano di sopra, mi ricordo che si doveva salire una scala. Non posso dirvi con certezza se sotto casa fosse la Forgia.
Poi c'era il fratello Peppino che pure lui facie u furger. So che prima abitava verso a Temba ma poi andò ad abitare verso u Calangone o u Calvario. Questo mi è stato riferito, scusatemi se non è giusto.
Mi ricordo che loro facevano di più ringhiere, inferriate di balconi. Non ricordo se lavorassero assieme.
Mi sembra di ricordare che poi Peppino aiutava spesso Peppino u funtaner, e andava mettendo tubi per le case.
Oggi diremmo faceva più l'idraulico che u furger.

La "forgia" dei fratelli Ronga, sulla sinistra,
la porta con la scala.

I fratelli GIUANN e LUIGI RONGA sono i furger che mi sono rimasti meglio nella memoria.
Avendo la Forgia vicino alla Torre del Palazzo dei Giura, ed io ero là vicino ad imparare il mestiere, li vedevo e li sentivo tutti i giorni.
Loro facevano veramente di tutto. Zappe, Picconi, Budent ( non so come si chiamano in italiano), poi ferravano Asini e Muli.

Luigi Ronga

Vi ricorderete che gli asini ed i Muli portavano agli zoccoli dei ferri.Quando avevo tempo mi divertivo a guardare. Era un lavoro non tanto facile. C'erano asini che sopportavano pazientemente la procedura di mettersi le scarpe (i ferri) nuove. Io ho visto dei muli scalpitare e scalciare che erano veramente dolori per il Fabbro e quelli che aiutavano. Però la cosa che a me è rimasta più nella memoria è quella di quando battevano il ferro cocente per dargli una forma. Erano in due, Giuann e Luigi.
Mettevano il ferro caldo sull'incudine e con dei martelli battevano il ferro con un ritmo che sembrava una melodia.
Poi si sentiva a bott du Mastro, che batteva due volte sull'incudine mentre l'altro aspettava, e poi si riprendeva.
A volte d'inverno quando faceva freddo per riscaldarmi un pò andavo a menare il mantice. Si girava una manovella che soffiava dell'aria, cosi alimentava il fuoco dove veniva messo il ferro per poi poterlo lavorare.
Ho scritto un po’ di più dei Fratelli RONGA perche li ho vissuti più da vicino.
Vincenzo “ a Uzìllë” Francomano
Però c'era ancora un altro furger ndu Pais. Era Vicienz Auzill.
Auzill era il sopranome. Non ricordo se facesse Alberti o Francomano di cognome.
La forgia era vicino la casa di Ndonio Mastcetue, 200 metri prima di arrivare nda Chiazzoll.
Anche lui era molto bravo. Io mi ricordo che quando passavo di là, scendendo da San Tommaso, davanti alla Forgia c'era uno spiazzale, e li vedevo spesso Aratri che avevano bisogno di essere riparati.
Giovanni che scrive le storie di Chiaromonte mi dice che Vincenzo Auzill ha un figlio che è molto bravo anche lui, però io non lo conosco, quindi non posso dire di più.
Un ultima cosa voglio dirvela .
Nelle nostre case una volta all'interno sulla porta c'era sempre un ferro di Cavallo.
Si diceva che scongiurasse il malocchio. Non so se oggi ancora si usa.
Chiudo con un abbraccio a tutti voi e alla prossima.
Ancora ci sono tanti mestieri da ricordare.



Ringrazio vivamente di cuore Luana Francomano per la foto del nonno Vincenzo, Antonio Cafaro per la foto del nonno Luigi e Nicola Ricciardi per la foto del padre Egidio.



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