Stòrië sàccë, e storìë dichë...
(accussì m'ennë cundætë)
di Vincenzo Battista
Foto di Pino Sassano |
Ierë u tiembë da guerrë, forsë ù quarandaduië o u quarandatre.
C'erë a tessërë e c'erë a fæmë.
‘Nzommë, ièrë u tiembë dù "ducë ducë comë c'hai fattë rëddùcë, u iuòrnë senza pænë e a nottë senza lucë”.
A fæmë ièrë nègurë e non c'erë nièndë.
Ognëttàntë ièmmë a Mundalbanë a pëgliǽ u grànë dë cuntrabbandë.
Nuië purtàmmë: fichë, pàlë pë u furnë, seggë, anguna zappë, e lorë në davënë u granë.
Së partië da Chiërëmondë primë ca facië nottë, e së cammënævë cu ciuccë pë quattordëcë gorë.
Quannë s’arrëvavë, certë votë së durmië sëdutë a na seggë, po së carëcavë u granë e së turnavë.
Anguna votë së abballavë purë.
‘Ndu mesë dë giugnë stævë turnannë da nu viaggë da Mundalbanë.
Avìë arrevatë appenë doppë a "Tavarnë", primë du pondë dë Sandë Pietrë.
Ierë nottë.
Nu pënsierë m’add arrëvatë ‘ngæpë: "vuojë vëdè ca c'è a landarnë".
Angorë u pondë on së vëdië, ma u ciuccë è ‘ngùmënciætë ad annascǽ.
Èggë àccurtætë u capìstrë, ma u ciuccë òn së calmavë.
Èggë iëssùtë da curvë, e la vëcìnë u pondë c'erë na lucë... Ierë iellë!
M’eggë fattë curaggë, e cu capistrë a curtë tëravë u ciuccë.
Avìë quasë arrëvatë a lu pondë e, a nu certë mumendë, a lantarnë on c'èrë chiù.
Ma pëcchë chiù ‘nnandë c'erë na femmëna tutta vëstuta ianghë, e cu nu canagliònë vëcinë.
Aggë chiàmatë: Uè bella femmënë, ma quellë non rëspunnië.
Èggë aumendætë u passë ma non arrëvavë mai vëcinë.
Cammënannë, cammënànnë, iellë ‘nnandë e i dëretë, emmë arrëvatë alla gruttë dë l'acquë.
Certë crëstianë stavienë scënnènnë.
Èggë guardætë meglië ma a femmënë e lu canë non c’erënë chiù.
Era il tempo della guerra, forse il quarantadue o il quarantatre.
C’era la tessera e c’era la fame. Insomma, era il tempo del “Duce, Duce come ci ha ridotti, il giorno senza pane e la sera senza luce”.
La fame era nera e non c’era niente.
Ogni tanto andavamo a Montalbano a prendere il grano di contrabbando. Noi portavamo, fichi, pale per il forno, sedie, qualche zappa e loro ci davano il grano.
Si partiva da Chiaromonte prima che faceva notte, e si camminava con l’asino per quattordici ore.
Quando si arrivava, certe volte si dormiva seduti ad una sedia, poi si caricava il grano e si tornava.
Qualche volta si ballava pure.
Nel mese di giugno stavo tornando da un viaggio da Montalbano. Ero arrivato appena dopo la “Taverna”, prima del ponte di San Pietro. Era notte.
Un pensiero mi arrivò in testa: Vuoi vedere che c’è la lanterna?
Ancora il ponte non si vedeva, ma l’asino comincio a dimenarsi. Ho accorciato le redini ma l’asino non si calmava.
Sono uscito dalla curva, e la vicino al ponte c’era una luce… era lei!
Mi son dato coraggio e con le redini a corto tiravo l’asino.
Ero quasi arrivato al ponte e , ad un certo punto, la lanterna non c’era più.
Poco più avanti c’era una donna tutta vestita di bianco, e con un grosso cane vicino.
L’ho chiamata: Bella donna! Ma non rispondeva.
Aumentai il passo, ma non riuscivo ad avvicinarmi.
Camminando, camminando, lei davanti e io dietro, siamo arrivati alla grotta dell’acqua.
Alcune persone scendevano.
Cammënannë, cammënànnë, iellë ‘nnandë e i dëretë, emmë arrëvatë alla gruttë dë l'acquë.
Certë crëstianë stavienë scënnènnë.
Èggë guardætë meglië ma a femmënë e lu canë non c’erënë chiù.
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Traduzione
Era il tempo della guerra, forse il quarantadue o il quarantatre.
C’era la tessera e c’era la fame. Insomma, era il tempo del “Duce, Duce come ci ha ridotti, il giorno senza pane e la sera senza luce”.
La fame era nera e non c’era niente.
Ogni tanto andavamo a Montalbano a prendere il grano di contrabbando. Noi portavamo, fichi, pale per il forno, sedie, qualche zappa e loro ci davano il grano.
Si partiva da Chiaromonte prima che faceva notte, e si camminava con l’asino per quattordici ore.
Quando si arrivava, certe volte si dormiva seduti ad una sedia, poi si caricava il grano e si tornava.
Qualche volta si ballava pure.
Nel mese di giugno stavo tornando da un viaggio da Montalbano. Ero arrivato appena dopo la “Taverna”, prima del ponte di San Pietro. Era notte.
Un pensiero mi arrivò in testa: Vuoi vedere che c’è la lanterna?
Ancora il ponte non si vedeva, ma l’asino comincio a dimenarsi. Ho accorciato le redini ma l’asino non si calmava.
Sono uscito dalla curva, e la vicino al ponte c’era una luce… era lei!
Mi son dato coraggio e con le redini a corto tiravo l’asino.
Ero quasi arrivato al ponte e , ad un certo punto, la lanterna non c’era più.
Poco più avanti c’era una donna tutta vestita di bianco, e con un grosso cane vicino.
L’ho chiamata: Bella donna! Ma non rispondeva.
Aumentai il passo, ma non riuscivo ad avvicinarmi.
Camminando, camminando, lei davanti e io dietro, siamo arrivati alla grotta dell’acqua.
Alcune persone scendevano.
Ho guardato meglio ma la donna e il cane non c’erano più.
Postfazione
___________
Postfazione
Di G.D. Amendolara
Non molto tempo fa mi fermai a parlare con un anziana signora, mia vicina di casa.
Tra un discorso e l’altro, come eravamo solito fare, arrivammo a parlare di questa leggenda, della quale fino a quel momento ne avevo solo sentito parlare ma non nel dettaglio.
Mi chiese di fermarmi ancora un pò. Aveva da raccontarmi un episodio che le era accaduto tanto tempo prima.
Da ragazzina, tutte le sere prima di andare a letto, le piaceva mettersi alla finestra e guardare quelle poche luci che un tempo illuminavano le strade o le casine visibili nelle campagne.
Tra tutte queste luci spesso ve ne era una che appariva all’improvviso, proprio a Sàndë Piètrë, e a differenza delle altre questa si muoveva, il che attirava la sua attenzione, sia perché non andava oltre la grotta dell’acqua, e sia perché muovendosi la sua forma non mutava. Vicina o lontana, sopra o sotto, quella era la sua grandezza.
In una di queste sere però si accorse di un evento strano.
Quella luce d’un tratto cambiò i suoi movimenti, uscì dal suo solito fare, e pareva dirigersi oltre la grotta dell’acqua, andando proprio in direzione del paese. Ciò che stupì la povera donna fu che la luce questa volta mutò forma, perché più si avvicinava e più si ingrandiva, “come un flash delle macchinette”, tanto che la impaurì, chiuse finestra e sportellini e si infilò sotto le lenzuola sperando di non ritrovarsela in casa.
Al mattino, impaurita e incuriosita, chiese se anche qualcun altro aveva visto quella luce che da Sàndë Piètrë si dirigeva verso il paese.
Fu lì che scoprì della storia della donna e del cane.
Da quel momento non si affacciò più alla finestra di notte per un bel pò di tempo, perche ne rimase segnatala, tanto che quando lo raccontava esternava ancora la paura, seppur passati molti anni.
Questa leggenda viene spesso, e giustamente, legata alla forte presenza greca nelle nostre zone, quindi anche alla sua mitologia, che vedeva nel suo olimpo anche la presenza della dea Ècate.
La donna che vedevano nei pressi dë Sàndë Piètrë era facilmente ricollocabile alla sua figura, perché con torcia in mano e spesso in compagnia di un cane, dei quali era protettrice e che le erano di compagnia, appariva sempre ai viandanti, spesso per spaventarli o recarli alla morte.
Ma la storia di Chiaromonte è infinita, cosi come lo sono le sue leggende, e di quella luce di storie ve ne sono, tante, e non solo legate alla mitologia Greca.
Non molto tempo fa mi fermai a parlare con un anziana signora, mia vicina di casa.
Tra un discorso e l’altro, come eravamo solito fare, arrivammo a parlare di questa leggenda, della quale fino a quel momento ne avevo solo sentito parlare ma non nel dettaglio.
Mi chiese di fermarmi ancora un pò. Aveva da raccontarmi un episodio che le era accaduto tanto tempo prima.
Da ragazzina, tutte le sere prima di andare a letto, le piaceva mettersi alla finestra e guardare quelle poche luci che un tempo illuminavano le strade o le casine visibili nelle campagne.
Tra tutte queste luci spesso ve ne era una che appariva all’improvviso, proprio a Sàndë Piètrë, e a differenza delle altre questa si muoveva, il che attirava la sua attenzione, sia perché non andava oltre la grotta dell’acqua, e sia perché muovendosi la sua forma non mutava. Vicina o lontana, sopra o sotto, quella era la sua grandezza.
In una di queste sere però si accorse di un evento strano.
Quella luce d’un tratto cambiò i suoi movimenti, uscì dal suo solito fare, e pareva dirigersi oltre la grotta dell’acqua, andando proprio in direzione del paese. Ciò che stupì la povera donna fu che la luce questa volta mutò forma, perché più si avvicinava e più si ingrandiva, “come un flash delle macchinette”, tanto che la impaurì, chiuse finestra e sportellini e si infilò sotto le lenzuola sperando di non ritrovarsela in casa.
Al mattino, impaurita e incuriosita, chiese se anche qualcun altro aveva visto quella luce che da Sàndë Piètrë si dirigeva verso il paese.
Fu lì che scoprì della storia della donna e del cane.
Da quel momento non si affacciò più alla finestra di notte per un bel pò di tempo, perche ne rimase segnatala, tanto che quando lo raccontava esternava ancora la paura, seppur passati molti anni.
Questa leggenda viene spesso, e giustamente, legata alla forte presenza greca nelle nostre zone, quindi anche alla sua mitologia, che vedeva nel suo olimpo anche la presenza della dea Ècate.
La donna che vedevano nei pressi dë Sàndë Piètrë era facilmente ricollocabile alla sua figura, perché con torcia in mano e spesso in compagnia di un cane, dei quali era protettrice e che le erano di compagnia, appariva sempre ai viandanti, spesso per spaventarli o recarli alla morte.
Ma la storia di Chiaromonte è infinita, cosi come lo sono le sue leggende, e di quella luce di storie ve ne sono, tante, e non solo legate alla mitologia Greca.