U Pëccëllætë
Storia, antico rito e tradizione Chiaromontese
di G.D. Amendolara
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Storia inserita in Archivio > Tradizione culinaria
Antico rito Chiaromontese
“Raccoglievano le uova sin dopo le Ceneri, conservandole e custodendole come un bene prezioso.
Pronto anche u cruscèndë da qualche giorno, il mercoledì della settimana Santa impastavano i due ingredienti insieme a farina, acqua, sale, ‘nzògnë e, a piacimento, anche un goccio di vino bianco, lasciandolo riposare e lievitare ‘nda fazzatòrë sino al mattino dopo, quello del Giovedì Santo.
Prima dell’alba le forme pronte venivano infornate. A differenza del pane, posato sulla stessa šcanætë senza un ordine preciso, per i pëccëllætë la tradizione prevedeva una sequenza da rispettare:
Il primo sfornato era per Gesù Cristo, da portare in chiesa per l’ultima cena.
Il secondo per il capofamiglia.
Il terzo per la madre.
I quarti, pùpë per le femminucce(una treccia con un uovo incastonato cosi da somigliare una bambola avvolta nel fagotto) e trastanèllë (a forma di borsetta) per i maschietti.
I restanti per l'ariè da mësèrëcordië, da dispensare agli affetti e ai bisognosi.
E vedevi, come per il sanguinaccio, tra famiglie e vicinato, lo scambio dei Pëccëllætë, e la donazione di questi a chi ne aveva più bisogno”.
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“Mamma mië m’è chiamætë pëccëllætë e i më morëghë da fæmë”
Recitava un vecchio modo di dire Chiaromontese
Pëccëllætë di Gabriele Ricciardi |
Rispettarne le tradizioni, come quella du Pëccëllætë, saziava e rafforzava dovere e gratitudine verso Dio.
In principio, come narrano le testimonianze tramandate, era un pane azzimo, na pëttëcella lìscë senza sale (in chiaromontese pëttëcèlla gàimë) con incastonata una foglia di ulivo.
Quasi certa è l’influenza di altre culture gastronomiche che ne hanno arricchito l’impasto e la forma ancora attuali.
A riguardo, chi ipotizza l’intreccio tra la tradizione gastronomica Pasquale Lucana e quella Arbëreshë, chi con quella Partenopea o campana, fortemente presente nei nostri usi e costumi, la più attendibilie, in quanto u Pëccëllætë a Chiaromonte veniva chiamato Tòrtënë, tortano, come il tipico rustico della tradizione Pasquale napoletana.
È una tradizione ancora viva in gran parte del meridione, con forme o nomi diversi.
La versione "antica". Forno De Palma |
A Chiaromonte prevale la versione salata.
Dall’impasto si ricavano anche altri pani Pasquali come i già citati pùpë e trastanèllë, e u tòrtënë, o turtanièllë, nu pëccëllætë senza uova incastonate.
La forma a “ciambella”, circolare, è un simbolo strettamente religioso, e richiama la corona di spine sul capo di Gesù Cristo.
Produzioni della rosticcera “Le buone cose” In basso: a sinistra a pùpë, al centro a trastanèllë. In alto a destra la versione dolce |
Il rito du Pëccëllætë è andato perduto da decenni.
In casa ormai non lo produce quasi più nessuno, e la tradizione regge grazie al lavoro dei mastri fornai Chiaromontesi.
Gli asparagi, però, quelli li raccolgono quasi tutti, e la frittata per la colazione di Pasqua non si mangia se a tavola non gænë u pëccëllætë, a pùpë e a trastanèllë.
In casa ormai non lo produce quasi più nessuno, e la tradizione regge grazie al lavoro dei mastri fornai Chiaromontesi.
Gli asparagi, però, quelli li raccolgono quasi tutti, e la frittata per la colazione di Pasqua non si mangia se a tavola non gænë u pëccëllætë, a pùpë e a trastanèllë.
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