Di G.D. Amendolara
in collaborazione con Debora Percoco
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Storia inserita in Archivio > Chiaromontesi raccontano
Mario Percoco, a sinistra, e Giovanni Cafaro a destra |
Stretto, lungo, diviso in tre blocchi dove trovavi di tutto, dai prodotti d’eccellenza ai giocattoli.
Lo gestiva insieme alla moglie Rosa, con la quale trasformava quel negozio in una casa pronta ad accogliere tutti.
Lo conoscevano tutti Mario.
Gentile, scherzoso, dedito al lavoro e alla famiglia, amante della buona compagnia e soprattutto della buona musica, ancor più apprezzata se suonata dal fidato amico, l’inseparabile violino.
Giuànnë Cucchiarònë era un simpaticone. Conoscevano anche lui in paese.
Amava l’allegria, la buona compagnia e la musica. Che fosse l’arrivo della banda o di un gruppo musicale per un evento sapevi dove trovarlo.
Ogni giorno prima di rientrare per pranzo, passava al Minimarket per salutare il suo caro amico Mario, sempre pronto a scambiare due chiacchiere con amici e clienti, inclusi quelli seduti sulla scaletta di fronte alla cassa e che non acquistavano niente.
Un giorno, arrivato puntuale in negozio per il classico saluto, tra una chiacchiera, una risata e una diceria, “Cumba Ma” saltò su con espressione seria:“M’eia prummèttë ca quànnë morëghë ‘nda chièsië m’eia sunǽ Violino Tsigano” concluse.
Di eventi e momenti Mario e il suo violino ne allietavano tantissimi, dalle serenate alle cerimonie, alle serate in compagnia. Funerali no. Erano le bande ad accompagnare le cerimonie funebri.
Cosi, spiazzato, “Giuà, piènzë a cambæ’, che quànn’è tànnë pò vëdìmë”, rispose, e rispondeva a tutti i rinnovi di quella richiesta.
Il tempo passò
Dopo anni di lavoro e sacrificio, Mario si apprestava a godersi la tanto meritata pensione e, soprattutto la famiglia.
Giovanni non ebbe la stessa fortuna.
La sua salute venne meno e, allontanatosi dal paese per le cure, si spense in un mite giorno d’estate.
1996
Giovanni rientrava nella sua amata Chiaromonte per l’ultimo viaggio.
Ad attenderlo amici, conoscenti e parenti.
Anche Mario lo attendeva, abbattuto, adirato e senza violino tra le mani, riportato in macchina perché non poteva, il parroco non voleva.
No! Non aveva dimenticato e tantomeno preso alla leggera quel “Cumba Mà, m’eia prummèttë…” sentito dire chissà quante volte.
Era uomo d’altri tempi, di buona famiglia e di sani principi, e manteneva la parola data.
“Quánn’è tánnė po vėdímė” era arrivato, ma non poteva, e non accettava l’idea che ad un defunto venisse negato l’ultimo desiderio.
Terminata la funzione, tra la calca di gente che fuoriusciva per l’ultimo saluto, di Mario neanche l’ombra, se n’era andato molto prima, avvolto da rabbia e dolore.
Però, oltre che essere un amicone, un seminatore di allegria, un personaggio amato, Mario era soprattutto un Chiaromontese, di quelli di una volta e, nel mentre il feretro si incamminava verso il carro funebre, col suono del violino invase ogni spazio, dentro e fuori.
Lo aveva recuperato. Si era appostato sulle scale della Chiesa, lì dove nessuno poteva cacciarlo e, ora avvolto dall’emozione, con le note di Violino Tsigano accompagnava quel piccolo uomo, il suo caro e buon amico Giovanni, nel suo ultimo viaggio, così come desiderava in vita.
Amava l’allegria, la buona compagnia e la musica. Che fosse l’arrivo della banda o di un gruppo musicale per un evento sapevi dove trovarlo.
Ogni giorno prima di rientrare per pranzo, passava al Minimarket per salutare il suo caro amico Mario, sempre pronto a scambiare due chiacchiere con amici e clienti, inclusi quelli seduti sulla scaletta di fronte alla cassa e che non acquistavano niente.
Un giorno, arrivato puntuale in negozio per il classico saluto, tra una chiacchiera, una risata e una diceria, “Cumba Ma” saltò su con espressione seria:“M’eia prummèttë ca quànnë morëghë ‘nda chièsië m’eia sunǽ Violino Tsigano” concluse.
Di eventi e momenti Mario e il suo violino ne allietavano tantissimi, dalle serenate alle cerimonie, alle serate in compagnia. Funerali no. Erano le bande ad accompagnare le cerimonie funebri.
Cosi, spiazzato, “Giuà, piènzë a cambæ’, che quànn’è tànnë pò vëdìmë”, rispose, e rispondeva a tutti i rinnovi di quella richiesta.
Dopo anni di lavoro e sacrificio, Mario si apprestava a godersi la tanto meritata pensione e, soprattutto la famiglia.
Giovanni non ebbe la stessa fortuna.
La sua salute venne meno e, allontanatosi dal paese per le cure, si spense in un mite giorno d’estate.
1996
Giovanni rientrava nella sua amata Chiaromonte per l’ultimo viaggio.
Ad attenderlo amici, conoscenti e parenti.
Anche Mario lo attendeva, abbattuto, adirato e senza violino tra le mani, riportato in macchina perché non poteva, il parroco non voleva.
No! Non aveva dimenticato e tantomeno preso alla leggera quel “Cumba Mà, m’eia prummèttë…” sentito dire chissà quante volte.
Era uomo d’altri tempi, di buona famiglia e di sani principi, e manteneva la parola data.
“Quánn’è tánnė po vėdímė” era arrivato, ma non poteva, e non accettava l’idea che ad un defunto venisse negato l’ultimo desiderio.
Terminata la funzione, tra la calca di gente che fuoriusciva per l’ultimo saluto, di Mario neanche l’ombra, se n’era andato molto prima, avvolto da rabbia e dolore.
Però, oltre che essere un amicone, un seminatore di allegria, un personaggio amato, Mario era soprattutto un Chiaromontese, di quelli di una volta e, nel mentre il feretro si incamminava verso il carro funebre, col suono del violino invase ogni spazio, dentro e fuori.
Lo aveva recuperato. Si era appostato sulle scale della Chiesa, lì dove nessuno poteva cacciarlo e, ora avvolto dall’emozione, con le note di Violino Tsigano accompagnava quel piccolo uomo, il suo caro e buon amico Giovanni, nel suo ultimo viaggio, così come desiderava in vita.
Mario, al centro. Vittorio Monaco a sinistra e Franco Amendolara sulla destra, in una serata "concerto" insieme al mandolinista Umberto Armenti "Mazzòccuwë" e a Franco Ricciardi "il pasticciere" |
Questa è una storia vera, fatta di amicizia, rispetto e valori.
La raccontò Mario a me e mio padre proprio lì, sulle scale della chiesa, in preda a mille emozioni, come se stesse vivendo quel giorno, nel minimo dettaglio, senza tralasciare nulla.
Ora sono entrambi allu mùnnë dë læ, come dicevano i nostri avi, di nuovo insieme, e chissà, magari Mario è li col violino tra le mani che allieta le ore eterne, e Giovanni, affinando la sua voce, ne canticchia i motivi, strizzando gli occhi, sorridendo e alzando le spalle per l’emozione.
Abbiano Paradiso. Lo meritano tutto, e seduti nei posti migliori.
La raccontò Mario a me e mio padre proprio lì, sulle scale della chiesa, in preda a mille emozioni, come se stesse vivendo quel giorno, nel minimo dettaglio, senza tralasciare nulla.
Ora sono entrambi allu mùnnë dë læ, come dicevano i nostri avi, di nuovo insieme, e chissà, magari Mario è li col violino tra le mani che allieta le ore eterne, e Giovanni, affinando la sua voce, ne canticchia i motivi, strizzando gli occhi, sorridendo e alzando le spalle per l’emozione.
Abbiano Paradiso. Lo meritano tutto, e seduti nei posti migliori.
Giua', ti confesso che mi stanno scendendo le lacrime, non conoscevo questa storia, anche questa e' storia',
RispondiEliminaMario una grande persona e Giovanni tanto caro e gentile, tanta tenerezza.
Cara Maria Pina. Pensa che per tutto il periodo della stesura l'emozione ha fatto da padrona. Grazie di cuore
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