Ottobre 2024 mese dedicato a Zë Giuànnë “u ‘Mbrònë” Cuccarese

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Nu prëssëpië da vattë o mænë

nota: in questa storia non ho apportato alcuna correzione nelle parole in dialetto.
Pinuccio manca dal paese da sessant'anni, e desidero che tutti voi siate testimoni del suo amore immutato verso il nostro paese, il più bello del mondo.


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di Pinuccio Armenti




Don Franco Ferrara, sulla sinistra.
Immagini RAI ©
Cari Amici e Compaesani.
Ieri volevo camminare un pò per allenare il mio ginocchio operato, che va molto bene.
Cammino e passo davanti ad una chiesa.
Dentro di me sento il bisogno di entrare. Ogni tanto sento voglia di pregare, non per me, ma per i miei cari, famiglia, amici, per la pace nel mondo.
Mi siedo in un banco.
Poco lontano in un altro banco due vecchiette con le mani congiunte pregano pure loro.
Mentre prego il mio sguardo cade su un presepio al lato dell’Altare.
Finito con le preghiere, mi alzo e mi avvicino al presepio. Cosa vedo? Una grotta grandissima, Maria, Giuseppe, Bambinello, bue, asino, mangiatoia, fuori tre pastori e tre pecorelle, e sul tetto della capanna un angelo con una stella in mano.
Guardando mi dico: Perfetto non manca niente.
Poi lo riguardo e penso: Troppo semplice, senza fantasia.
Sorrido e nella mia mente il pensiero vola a Chiaromonte.
Io sono cresciuto nella chiesa di San Tommaso, chierichetto prima, sacrestano dopo.
Non ricordo quanti presepi abbiamo fatto con Don Franco, ma sono tanti.
Di Don Franco si possono dire tante cose. Non era amato da tutti, però per la parrocchia spendeva tante energie.
Per esempio: il presepio.
Lui si che aveva fantasia. Jere ngignus, come si dice da noi.
San Tommaso
Ogni anno inventava qualcosa di nuovo. Case nuove, laghetti, fontanelle ma l’acqua era vera, scorreva, non era finta.
Un anno ci radunò, noi chierichetti, e ci disse che voleva fare un presepe che i pastori si muovessero.
Noi ci siamo guardarti e abbiamo pensato: forse il diabete è basso e fantastica. Invece ci spiegò quello che aveva in mente. Noi ancora eravamo increduli.
Per primo cercò un falegname. Non ricordo se fu Luigi Mustazz o Giuann Dottore.
Fece fere 2 ruote rotonde una cinquantina di cm di diametro. Noi aiutanti avevamo allestito piano piano già lo scheletro.
Nella Chiesa sulla destra c’era, o meglio ci sarà ancora, un altare più piccolo, sarà sette, otto metri di larghezza e cinque, sei metri di lunghezza. Li ci si faceva anche il Sepolcro a Pasqua.
Naturalmente senza Don Franco non si faceva niente.
Quanti rimproveri ci siamo presi quando qualcosa non andava come voleva lui.
Lui aveva già tutto memorizzato nel suo cervello. A sinistra in fondo su una collinetta fatta con carta pesta c’era il paesino, a volte sembrava vedere Chiaromonte. Poi si scendeva a valle percorrendo delle viicelle fatte con tanta pazienza. Il falegname nel frattempo aveva fatto queste ruote di compensato, molto leggere, sotto don Franco mette due cuscinetti girevoli che poi attaccati alla corrente facevano girare le due ruote.
C’è voluto un pò di tempo prima che questo meccanismo funzionasse alla perfezione.
Mentre lui faceva tutto questo, aiutato anche da Biasino Saponara e Ndreia da Colla, papà di Giovanni Monaco, noi chierichetti andavamo a fare u piz (il muschio) per ricoprire il tutto.
Ricordo che andavamo cu paner e sporte nda Vallina, ndu Scurciatur, a tutt o bann dove c’erano cerse o altri alberi. Facevamo a gara a chi ancappeve a tappa chiu granna.
Giuann Pozzovivo, Attilio Murro, Minccuccio Infantino, Ndonio u Fiut, Giuannuzz Pesce, fratem, io e Giuannuzz Monaco ca jere u chiu zinn di tutti quanti. Sicuramente c’era anche qualche altro che ora mi sfugge.
A volte capitava che c’era già la neve, ma a noi non importava niente. A nui ni sirvie u piiz pe fe u prisepie.
Quando turnamm tutti, nfriddulit e chine di zang purtamm u piiz nda chiesa e ni jemm a scaffè allu fuoco nda chesa.
Ormai si era fatto tardi e cosi andammo a letto.
Il giorno dopo al mattino si andava a scuola, però subito dopo pranzo si correva in chiesa.
Era quasi tutto pronto.
Sul palco, alto un metro, c’erano già le tavole. In fondo a sinistra sulle montagne fatte di carta pesta colorata le casette del paesino erano già messe al posto giusto.
Dalle viuzze contorte si scendeva a valle, passavano vicino ad un laghetto, ancora senz’acqua, un pò più distante una fontanella anche essa ancora asciutta.
Si saliva su un bel ponte e piano piano si arrivava alla capanna già pronta ma senza statuine.
Sulla destra, non molto lontano dalla capanna, un recinto (nu jazz) con delle pecorelle e un cane da guardia. Vicino la capanna a sinistra e a destra c’erano le ruote di compensato però ancora ferme.
La nostra curiosità' era di vederle muoversi.
Sempre con l'aiuto degli uomini dell’azione cattolica si incominciava a mettere u piiz.
A noi adesso non rimaneva che guardare, era lavoro per grandi.
Però nessuno di noi andò a casa. Era molto interessate.
Ora era tutto coperto di muschio anche le ruote di compensato, però non si muoveva niente. Nel laghetto ora c’era l’acqua, e anche dalla fontanella scorreva acqua.
Nelle casette brillavano le luci, e anche la stella sulla capanna si era accesa.
Ora c’erano pastori, pastorelle,bambini, bue, asinello Maria, Giuseppe, il Bambinello nella culla.
Era tutto pronto.
Solo i pastori che erano sulle ruote di compensato non si muovevano.
Don Franco era impaziente e un pò nervoso. Non funzionava come aveva progettato.
Allora mandò uno degli uomini sotto il palco per vedere se la corrente funzionasse. Era tutto a posto. Allora Don Franco causalmente prese un paio di pastori e li mise in un altro posto.
Tutto d’un tratto una ruota incominciò a girare. Allora capimmo che le statuine erano pesanti. Li alleggerirono e ora funzionava a meraviglia.
Noi ragazzi non riuscivamo a togliere lo sguardo da questa meraviglia.
Il volto di Don Franco si illuminò di un sorriso mai visto.
Noi non potemmo trattenere un applauso di gioia.
Avvolto nei miei ricordi non mi accorgo che una mano batte sulla mia spalla .
Sento una voce. E' il parroco della parrocchia che io conosco molto bene, perchè lui celebra la messa per noi Italiani qui ad Ingolstadt, dove io e il mio Gruppo cantiamo.
Mi chiede in italiano se mi piace il presepio. Io gli rispondo: Molto bello, però dentro di me penso: Mo, non bello come quello del mio paese.


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O scaudatièllë


O scaudatièllë
Storia e ricetta


Di G.D. Amendolara
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Tipico della tradizione natalizia Chiaromontese, o scaudatièllë hanno origini antichissime.
Appartengono ad un antica tradizione del popolo greco che, come ben sappiamo, influenzò la storia del nostro territorio, ma che l’uso di questa tradizione sia riconducibile a quell’epoca non vi è certezza.
Un ipotesi plausibile invece è legata all’arrivo nel nostro paese di numerose famiglie di origine campana, soprattutto cilentane, terra dove la tradizione degli scaudatièllë è proprio riconducibile all’arrivo dei coloni greci.
Definiti “dolce dei poveri” per i pochi ingredienti che lo compongono, si presentano sotto forma di un fiocco che, seguendo sempre le sue antichissime origini, vuole rappresentare sia la lettera Alpha che la lettera Omega, la prima e l’ultima dell’alfabeto greco, legati alla tradizione del solstizio d’inverno, importante per quei popoli, che coincide con ciò che divenne il Natale, data tradizionale per i Cilentani che ne hanno fatto un prodotto tipico, mentre per Chiaromonte è l'otto di dicembre, giorno dell’Immacolata e anche du spërtusa vuttë.
La ricetta qui riportata è quella tradizionale, antica, ma in molti per renderli più gustosi aggiungono all’impasto le patate e anche un uovo e, oltre i classici zucchero e cannella, vengono decorati anche con zuccherini colorati.
Fatto sta che ricetta antica o con le patate, con o senza zuccherini, o scaudatièllë contro il tempo hanno mostrato la loro forza e, puntuali, l’otto dicembre son presenti sulle tavole dei Chiaromontesi, proprio come tradizione vuole.



RICETTA
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Nota: la ricetta che qui trovate è la versione tradizionale, quella antica Chiaromontese

Ingredienti
Farina, Acqua, Sale, Olio di oliva,
Zucchero a velo, Cannella



Utensili

Pentola, cucchiaio di legno, Spianatoia, Padella


Procedimento
 
Iniziare dosando la stessa parte di acqua e farina (esempio: due tazze di farina, due tazze di acqua).
Portare a bollore l’acqua, aggiungendo un pizzico di sale.
Setacciare la farina e a bollore raggiunto aggiungere man mano e mescolare con un cucchiaio di legno senza mai fermarsi, evitando che si attacchi o si formino grumi.
Continuare a girare fino a che la pasta non rimane più attaccata alle pareti della pentola. Aggiungere altra acqua solo se l’impasto risulta troppo sodo.
Ungere u šcanatùrë con olio di oliva e lavorare l’impasto caldo sinché non si raffredda e risulta liscio e morbido, senza aggiungere nulla, lasciandolo riposare una decina di minuti coperto con un pazzo.
Stendere la pasta a filoncino e dividerla in lunghi cilindretti, annodandoli formando una L.
Friggere in olio di semi.
Nel frattempo mescolare zucchero a velo e cannella.
Lasciar scolare l’olio e tuffare ancora nel miscuglio di zucchero e cannella.

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