Ottobre 2024 mese dedicato a Zë Giuànnë “u ‘Mbrònë” Cuccarese

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FAMIGLIA LEO

Di Lucio Vitale
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Articolo pubblicato anche su Il Quotidiano della Basilicata

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Storia inserita in Archivio > I grandi Chiaromontesi




La famiglia Leo di Chiaromonte



Palazzo Leo

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l'avvocato Francesco Leo
Furono medici, magistrati, avvocati, sindaci, poeti e patrioti: Sono i Leo di Chiaromonte. 
L’origine del cognome “Leo” sembrerebbe d’origine normanna, e che si sia sviluppato con il loro arrivo nell’Italia meridionale, specialmente nel Salento ed in altre zone del sud e dell’Italia centrale, oltre che in Piemonte e Lombardia. Sembrerebbe che derivi da legatus (legato), che nell’antica Roma di solito era associato alla carica di governatore di una provincia (legatus pro pretore). 
Nel dialetto chiaromontese il casato dei Leo, è sempre stato pronunciato “I Leg”, quasi fosse una forma contratta di legatus. 
Di questa nobile famiglia chiaromontese, in ogni caso, si ha tracce della loro presenza nel territorio di Chiaromonte, già nel 1080, con un certo notaio Leo, che redasse in quel periodo un atto con in quale Giamarda, vedova del Conte Ugo Chiaromonte, donò all’abbazia di San Anastasio di Carbone, il Monastero di San Filippo di Beniamino, vicino alla terra di Tygano (Teana). In seguito ricompaiono a Chiaromonte con il notaio Domenico, che vi rogò dal 1735 al 1960 e che era originario della terra di Morano (in Calabria). 
La tradizione notarile di questa antichissima famiglia sarà confermata dall’attività notarile con Deodato Leo, patriota partenopeo, che esercitò dal 1796 al 1845 e Nicola, invece dal 1846 al 1868. 
In seguito, i Leo profusero a Chiaromonte, nell’arco di cento anni, un impegno politico e professionale di non poco conto. Molti furono gli esponenti di questa illustre famiglia che esercitarono l’attività di medico, di magistrato, di giurista, di legista e di avvocato nel centro della valle del Sinni e tra Lagonegro, Salerno, Roma ed altre città d’Italia. 
Di questa famiglia, 4 esponenti ricoprirono la carica di sindaco di Chiaromonte tra il primo decennio dell’ottocento ed i primi decenni del novecento. 
Proprio nello stesso periodo, precisamente dal 1863 al 1864, Francesco Leo fu eletto consigliere provinciale, mentre Eduardo Leo fu eletto nel mandamento di Chiaromonte come consigliere provinciale e confermato per circa trent’anni, nei quali fu anche Presidente della Deputazione Provinciale dal 1910 al 1912. 
Successivamente ricoprì la carica di sindaco di Lagonegro nel 1914. 
Ma è con Francesco, che la famiglia si fa riconoscere in Italia e nel mondo per le sue non comuni doti di poeta e patriota. 
Uno dei più grandi ingegni della Basilicata di quel tempo, Vito Maria Magaldi, nel 1894 disse di lui: «Fu poeta vero, e lui diranno le sue opere – il suo verso fu flagello ad ogni menzogna, fu sprone acuto e gagliardo sentire; ideale dei suoi canti la Patria, per la quale soffrì ben sette anni di ferri». 
Francesco Leo, nasce a Chiaromonte il 26.3.1811 da Don Emmanuele Leo, e da donna Regina Grandinetti. 
Nel 1834 si laurea in giurisprudenza, è oltre ad esercitare la professione forense, non rinuncia ai suoi ideali politici, nutriti durante i suoi anni di studio a Napoli. 
Nei fatti del 1848 fu membro del Circolo Costituzionale di Chiaromonte ed organizzò gli arruolamenti per Campotenese. 
La reazione che seguì, il 15 maggio di quell’anno, lo costrinse ad una latitanza penosa. Pur potendo, non chiese rifugio a casa Sole a Senise, per non mettere in pericolo la vita e la reputazione dell’amico Alessandro. 
Arrestato nel 1850, fu processato dalla Gran Corte Speciale di Potenza e condannato a 7 anni di carcere, nonostante che il Procuratore Generale aveva chiesto per lui la pena perpetua. Scontò la sua pena tra Potenza, Napoli e Procida. 
Si dice, che quando Francesco Leo entrò a Potenza nel carcere a notte inoltrata, si annunciò con un motto che rivela l’uomo e che lo rese da quell’istante caro agli altri concaptivi. Chiese scusa del disturbo, e ammiccando ai gendarmi, aggiunse: «Di mio volere non mi sarei mai permesso di disturbarvi a quest’ora». 
In altri tempi ed altro ambiente egli avrebbe di certo lasciato maggior orma di sé. 
Il 1860 lo trovò più pronto che mai. 
Fu Presidente della Giunta insurrezionale di Chiaromonte, ma l’età, (era ormai quarantanovenne) la salute, per natura cagionevole, indebolita maggiormente dalla lunga prigionia, non gli consentirono di riprendere le armi e perciò offrì al paese delle vite più care della propria. 
Aveva due figli, Emanuele ed Errico, il primo poco più che ventenne ed il secondo non ancora ventenne, e questi mandò tra i garibaldini a combattere sotto le mura di Capua nell’agosto 1860 aggregandosi alla VI colonna delle forze insurrezionali, che operano al comando di Aquilante Persiani.
Errico venne poi, appena laureato, strappato al suo affetto nel 1864 da un male ribelle. Tra quelli nati dopo la sua carcerazione vi sono Eduardo ed Umberto. 
Divenuta una radiosa realtà il sogno della sua giovinezza e della sua maturità, di vedere una ed indipendente l’Italia sotto lo scettro di Casa Savoia, Francesco Leo rifiutò onori ed uffici lucrosi.
Giacinto Albini lo voleva prefetto; gli elettori deputato al Parlamento; ma le cure di famiglia, l’arte che lo chiamava con lusinghiere promesse, lo attrassero e restò semplice cittadino, elargendo, quando occorreva, l’opera sua al proprio Comune. 
Tanto disinteresse e tanta nobiltà di propositi non gli costarono sforzi, perché ebbe, come pochi, anche nei tempi più tristi, la visione chiara dell’Italia unita. 
Fu così che potette sopportare il dolore di essere stato, come sempre diceva, un parricida. Il padre Emmanuele Leo, infatti, vedendo il suo unico figlio, straziato dal martirio delle catene dei forzati nel penitenziario di Procida, si spense con il crocifisso ed il ritratto dell’adorato Francesco tra le mani.
Stemma della famiglia Leo.
Uomo di mente versatile, aperta a tutte le manifestazioni dell’arte, si dedicò pure alla botanica, studiando e coltivando piante e fiori rari.
Fece lavori di pittura e di scultura non di spregevoli. 
Ebbe ad erudirsi in molte branche del sapere, aiutato in ciò dalla conoscenza perfetta del latino e del francese. 
Ma la sua grande passione restò la poesia. Nemico e avversario di preti e di clericali, vedeva il loro l’elemento conservatore, gretto e refrattario che impediva al popolo di trovare sfogo verso quelle idee rivoluzionarie e risorgimentali che portavano l’Italia verso più alti destini. 
Nonostante tutto, dopo il 1860, quando ne avrebbe avuto la possibilità, non volle che fosse torto neanche un capello a quei clericali suoi nemici e persecutori. 
Volle anzi che i loro nomi fossero ignoti perfino ai suoi figli. 
Virtù del perdono, che gli veniva impartito dallo studio dei Vangeli. 
Francesco Leo trascorse gli ultimi anni della sua vita, nella villa Leo di Savino. Ubicata a metà tra il centro abitato di Chiaromonte ed il fiume Sinni, questo bellissimo pezzo di terra, diventato per mano di Francesco un po’ orto botanico, un po’ giardino, caratterizzato da un doppio filare di cipressi che si prolungano verso il paese rappresentò l’oasi di tranquillità e di pace voluta da Francesco. 
Sull’ingresso di casa, sono ancora scolpite le parole da lui volute: “Amici set ne paucis pateat etiam Fictis” le quali, in buon volgare, vanno così intese: (questa porta sia aperta agli amici, e affinché non siano pochi, anche ai finti amici). 
Si spense nel suo paese natio il 1 ottobre 1894 ad 83 anni, spesi tutti nell’amare la patria, la famiglia e le lettere. 
All’indomani della sua morte, le spoglie furono composte nella bara con ancora evidenti alle caviglie i segni delle catene borboniche. 
Pochi furono gli omaggi resi dai suoi concittadini alla memoria di Francesco Leo. 
Soltanto tre anni dopo la sua morte, un gruppo di suoi umili conterranei già emigranti da molto tempo nella lontana Argentina, dedicò alla sua memoria una targa di bronzo con questa scritta: 

“ A Francesco Leo, cittadino esemplarissimo, avvocato e poeta venusto, martire del dispotismo. I suoi concittadini residenti al Plata offrono. Buenos-Ayres 1897”

Nel 1903, un altro dono ancora più prezioso e pieno di ossequiosa devozione giunse da quei concittadini lontani (identico dono gli Italiani emigrati in Argentina fecero avere a Giuseppe Garibaldi); un quaderno contenente una lettera (indirizzata al figlio Umberto, sindaco di Chiaromonte, nella quale si magnificano le capacità amministrative dello stesso ed il ricordo del patriottico padre suo Francesco) con apposte le loro firme, sia dei compaesani emigrati a Buenos-Ayres che quelli emigrati a Gualeguychù. 
A Francesco Leo Chiaromonte ha dedicato la strada più lunga ed importante del centro storico, sulla quale si affaccia la casa natale. 
Anche il comune di San Severino Lucano, ha dedicato a Francesco una piazza. 
Nel 2004, Eduardo Leo, erede di questa importante famiglia, ha tramandato ai posteri uno splendido libro: “I Leo di Chiaromonte”. 
Dedicato alla memoria dei propri avi, ai posteri e ai cittadini di Chiaromonte, Eduardo ha ricostruito e raccontato la storia di questa famiglia che per più di un secolo ha contribuito ha rendere grande l’immagine di Chiaromonte, «affinché – scrive Eduardo – non si perda la memoria della loro storia e delle persone che la scrissero».


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BEATO GIOVANNI DA CARAMOLA: intervista al prof. Giovanni Percoco

I MISTERI DEL BEATO GIOVANNI

Di Fabio Amendolara

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IL QUOTIDIANO DELLA BASILICATA
edizione del 23 agosto 2009 - pag. 17



CHIAROMONTE - Per anni è passato inosservato. Stava lì, in un angolo della chiesa, nella sua urna di legno decorata. Mai un ricordo, né un accenno al suo nome. I più anziani l'avevano quasi dimenticato. I più giovani non sapevano neanche che esistesse. Oscurato, forse, dalla figura di san Giovanni Battista, patrono del paese. Del beato Giovanni da Caramola, nato a Tolosa verso il 1280, giunto a Chiaromonte nel 1300, si interessavano in pochi. Tra questi c'è il professore Giovanni Percoco. Sono sue le prime ricerche, i primi studi. Poi, di colpo, il beato Giovanni è tornato di moda. Qualche pubblicazione, articoli di giornale, la ristrutturazione del suo eremo. E nel 2002 è ripartita celebrazione di una festa.



Professor Percoco, lei ha scritto molto sul beato Giovanni da Caramola. Una sua biografia fornisce notizie storiche sul suo ufficio, contenuto in un messale proveniente dall'abbazia cistercense di santa Maria del Sagittario di Chiaromonte. Da quanto tempo si interessa a questo personaggio?

Prima del 1997 avevo steso un piccolo saggio su Giovanni da Caramola. Era l'anno in cui con il professore Antonio Giganti, allora docente di storia medievale preso l'Università di Bari, preparavamo il convegno sui 550 anni dalla nascita di Francavilla sul Sinni. Io facevo parte del comitato scientifico. Quando il professor Giganti a casa mia vide il mio dattiloscritto, in presenza anche del parroco di Chiaromonte don Vincenzo Lofrano, mi chiese di partecipare al mio lavoro e io fui felicissimo, perché potevo fare affidamento sulla sua competenza.

Si trattava di un abbozzo di studio?


Certo; il titolo era "Il Beato Giovanni da Caramola, uno spirito inquieto fra eremo e cenobio". Da questo studio ho estrapolato poi un sunto che formò il mio saggio "I luoghi della contea di Chiaromonte dove visse il Beato Giovanni da Caramola" pubblicato nel 2003.


Ricordo alcuni suoi contributi su Giovanni da Caramola su riviste anche straniere.


I miei contributi storici figurano negli atti di un convegno tenuto a Clermont de l'Oise, in Francia, il cui tema era "Colloque Franco-Italien, Clermont, Chiaramonte, Chiaromonte, Trois villes Héritières des comtes de Clermont", nel 2000, mentre i contributi critici e filologici sono stati pubblicati nel 2002 a Brecht in Belgio, nella rivista internazionale dei Cistercensi della stretta osservanza di Pontigny in Borgogna, Cîteaux -- Commentarii Cistercienses, nella quale annunciavo una scoperta interessante, vale a dire una difformità notevole fra il testo dell'Ufficio di Giovanni riportato nel Messale Cistercense di Chiaromonte e quello riportato negli Acta Sanctorum di Agosto i quali omettono ben 109 righe.

Una simile scoperta ha avuto una risonanza negli ambienti ecclesiastici?


Non saprei. Posso solo riferire che Robert Godding della Société des Bollandistes di Bruxelles, al quale avevo annunciato la mia scoperta, il 3 settembre 2001 mi scriveva: «Se l'Ufficio da Lei scoperto è veramente inedito, come pare, una pubblicazione potrebbe essere interessante» e concludeva «a questo punto non posso che incoraggiarla a proseguire il lavoro».


I Cistercensi d'Italia hanno saputo della sua scoperta?


I Cistercensi di Casamari hanno accolto nella loro rivista un mio lungo articolo.


Nella sua monografia sul Beato lei propone molte note critiche che vanno dall'analisi del testo all'abito dei conversi, alle calzature che mancano nell'immagine del Beato, a errori di autori che hanno fatto confusione fra cistercensi e certosini. Sui siti internet non appare nulla di tante particolarità di cui lei ha scritto.


Le assicuro che alcuni siti disinformano e non informano sul Beato, e non solo i siti, ma anche i libri. La verità fa onore al personaggio e non le false notizie. A pagina 12 del volume Basilicata Cistercense a cura di Pietro Dalena, delle edizioni Congedo (Galatina), si dice che «Giovanni da Tolosa, ossia Giovanni da Caramola, fu abate del Sagittario e vescovo di Anglona tra il 1333 e il 1338» e nello stesso testo si sostiene che Giovanni era un converso, cioè un religioso che non era nemmeno ordinato sacerdote.

E il culto tributato al Beato?


Innanzitutto le dico che nel calendario liturgico del messale cistercense al 26 agosto è segnata la commemorazione del beato e nel messale al folio nono è riportato il rituale della Missa hujus Sancti Viri. Giovanni nel messale è sempre chiamato beato, ma nessuno sa quando è stato beatificato. Pertanto fin dal secolo quattordicesimo è stato venerato.


A quale titolo allora è venerato e chiamato beato?


Nel 1171-72 papa Alessandro terzo scriveva a Kol, re di Svezia, riferendosi a un nuovo culto che non era lecito venerare pubblicamente una persona senza l'autorizzazione pointificia. E nel 1234 la riserva pontificia di canonizzazione diventò legge ufficiale della Chiesa, come si legge in la Beatificazione, storia, problemi, prospettive dell'autorevole Fabijan Veraja, pubblicato dalla Sacra congregazione per le cause dei santi, (Roma, 1983).


Quest'anno le famiglie di Chiaromonte hanno ricevuto una lettera pastorale dell'ordinario diocesano monsignor Francesco Nolè che promuove il culto del beato, ma nel documento non appare alcuna disposizione pontificia che lo autorizza. Eppure nella messa a Chiaromonte con gli altri santi adesso è nominato anche il beato.


Non so se il culto locale di un santo o di un beato può essere autorizzato dall'ordinario diocesano. Il più autorevole biografo di Giovanni da Caramola, Gregorio de Lauro, nella vita del beato, al capitolo 15 scrive: «Quando il suo corpo fu elevato agli onori degli altari non v'è memoria d'uomo». Tuttavia qualche tempo fa promisi al vescovo Nolè che mi sarei industriato per fornire documentazione certa che assicurasse circa il culto del beato. Ho ripescato, come suol dirsi, fra le mie carte il mio citato studio di 46 facciate dove riporto un decreto di papa Alessandro settimo emanato il 27 settembre 1659 e pubblicato il 3 febbraio del 1660 che autorizza a venerare i beati e i santi fino ad allora ritenuti tali a delle condizioni particolari in cui si ritrovava il beato Giovanni che, perciò, è un beato a tutti gli affetti.

Dunque fin dal 1659-1660 il culto del Beato Giovanni risulta autorizzato.


A mio avviso la normativa moderna riguardante la beatificazione come atto amministrativo del romano pontefice e la canonizzazione, come factum dogmaticum non inficia la normativa precedente, e al di là di tutte queste problematiche c'è da augurarsi che succeda il vero miracolo, che sarebbe quello che farebbe di Chiaromonte la città del Beato Giovanni.


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ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2009

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Storia inserita in archivio > Storia Politica




Elezioni Amministrative Comune Di Chiaromonte
6/7 giugno 2009

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LISTA N° 1

UNITA’, DEMOCRAZIA, PROGRESSO - lista civica per Chiaromonte

VOTI: 652 (45,21%)

Candidato a sindaco: ANTONIO VOZZI - ELETTO SINDACO -
Candidati alla carica di consigliere: Amendolara Francesco Mario, BREGLIA FILIPPO A. M. , BREGLIA UGO M., CAFARO PROSPERO, CICALE PIERO, CIMINELLI MARIO V., Conte Donatella, D’AVANZO ANTONIO, De Nigris Tanja M. G., DEMININNO FILOMENA, Ferrara Annalisa, SASSANO GIUSEPPE


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LISTA N° 2

CHIAROMONTE VERSO IL FUTURO
VOTI: 437 (30,3%)

Candidato a Sindaco: DONADIO GIOVANNA in PALAZZO
Candidati alla carica di consigliere: Cafaro Michele I., Ciancio Giuseppe, Cicale Francesco R., Corradino Raffaele, Crescente Mariano A., Di Salvo Giovanni, Donato Celestrina A., Olivieri Vincenzo, Pesce Giosuè, Sassano Annamaria, Scardaccione Giovanna, VIOLA LUIGI


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LISTA N° 3

ITALIA DEI VALORI
VOTI: 43 (2,98%)

Candidato a sindaco: Amendolara Pasquale
Candidati alla carica di consigliere: Ciancia Giulio, Ciminelli Domenico, Dragonetti Sante, Camodeca Serafino, Sarubbi Prospero, Giangreco Claudio, Giordano Luigi, Dottore Vincenzo, Graziano Rosa


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LISTA N° 4

LIBERAMENTE INSIEME

VOTI: 310 (21,49%)

Candidato a sindaco: MONTEMURRO LAURA


Candidati alla carica di consigliere: Amendolara Francesco P., Ciancio Enzo, Cifarelli Vincenzo, De Santo Vincenzo, Di Sario Pasquale, Introcaso Antonio, Lamensa Merycarmen, LAURIA LUIGI, Micele Marcella, Ricciardi Gabriele R., Ricciardi Francesco R., Scalera Maria G.



nota: in maiuscolo i candidati eletti alla carica di consigliere comunale



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SANT' UOPO: il "nostro" Santo

foto di Pino Sassano

I
l 22 maggio i chiaromontesi e molti altri fedeli provenienti dai paesi limitrofi, si raccolgono in ricordo di un uomo vissuto e sepolto nella frazione che porta il suo nome: Sant'Uopo.
Tra le tante storie di santi e uomini di fede che hanno vissuto nella realtà chiaromontese, colpisce la vita di questo “eremita” proveniente dal mare, e di cui non si hanno ancora le origini certe del suo nome (Euplo, Opo, o Uopo), che stabilì la sua ultima residenza nelle campagne a pochi chilometri dal centro abitato.
Ebbe venerazione in vita come in morte per una delle sue grandi virtù: aveva il potere santo di provocare la pioggia.
Questa sua grande virtù, però, non riuscì ad avere dei buoni effetti durante un brutto periodo di siccità.
I contadini del paese in preda alla furia per paura di perdere il raccolto, dopo aver supplicato il frate con le buone maniere, non vedendo risultati, lo catturarono e lo legarono ad un albero finché non avesse scatenato una pioggia che avesse giovato il loro lavoro terriero.
Dopo tante insistenze da parte dei contadini, il frate cedette, e finalmente la pioggia cadde, e fu liberato.

Sant'Uopo, anni 30. foto da Lasiritide.it
Oggi, come ormai da moltissimi anni, la giornata del 22 maggio è arricchita da una fiera che percorre la lunga strada verso la frazione, (la Sapri-Jonio), una serata danzante e dei fuochi pirotecnici.
La cappella di Sant'Uopo, più volte in decadimento e ricostruita, nacque lì dove l'eremita visse e morì.
La dote di provocare la pioggia era solamente seconda alla sua più grande virtù: Sant'Uopo era un curatore dei traumi fisici.
Nel 1616 la cappella del santo era in decadenza. Il parroco don Giuseppe De Salvo chiese aiuto ai cittadini per poterla rimettere in sesto, e quando ebbero inizio i lavori di restauro, si manifestarono una serie di avvenimenti che arricchirono non solo le virtù di San Uopo, ma anche la vita dei suoi fedeli.
«Una sepoltura seu tumulo con l'ossi interi d'un huomo ben condizionati »: scriveva in una relazione don Giuseppe De Salvo.
Nel momento del ritrovamento del sepolcro, da Aliano arrivò un uomo che conduceva un cavallo che trasportava un giovane di 24 anni, Scipione Marazita, colpito da un'artrite che lo paralizzava totalmente dall'età di quattro anni. Il giovane malato fu deposto sul sepolcro del frate. Litania alla vergine e il magnificato accompagnarono questo “rito”. Al termine delle preghiere, il ragazzo si alzò, meravigliando i presenti, e battendosi i pugni al petto urlò al miracolo. Con grande meraviglia dei fedeli, il ragazzo seguì la processione di ritorno al paese camminando per un lungo pezzo da solo con l'aiuto di un bastone.

Foto di Francesco Chiorazzi
Esiste ancora un'altra storia significativa.
Paolo Arbia, di Chiaromonte, devoto a Sant'Uopo, colpito da una paralisi che gli bloccò la parte destra del corpo, e a causa di questa fu affetto da balbuzie, sul punto di
morte chiese ai figli come ultimo desiderio che riedificassero la cappella dedicata al santo. La sua forte devozione, e il suo ultimo pensiero, lo unsero con il miracolo del frate. L'uomo riacquistò pienamente la salute.
Una storia toccante è anche quella di Giulia Saponara, chiaromontese, che colpita da artrite, dopo un'ovazione al santo, guarì dalla malattia, e come ringraziamento per il miracolo ricevuto, si recò da sola e scalza alla cappella di Sant'Uopo.
Vi sono altre storie che riguardano il frate miracoloso, che portarono il parroco don Giuseppe De Salvo a presentare rapporto ai suoi superiori per richiedere la santità dell'eremita.
Le richieste del parroco, che per primo punto poneva il miracolo avvenuto al giovane Marazita, e la divinità che il frate aveva tra i suoi fedeli, non convinsero la “Congregazione per le cause dei Santi”, che non concesse il titolo a quest'uomo miracoloso.

Sant'Uopo, santo solamente per i chiaromontesi, non ebbe mai posto fra i canoni della chiesa, ma da centinaia di anni questo santo ha di sicuro un posto nel cuore di tutti i chiaromontesi e di tutti i suoi fedeli.

G.D. Amendolara

La Cappella perduta - Santissima Annunziata


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Benvenuti nella prima storia pubblicata su
ilpurtiello.blogspot.com
24/02/2009
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La cappella nel rione santa Lucia.
Nei tempi che furono, il legame della popolazione chiaromontese con la religione è manifestata dalla presenza di numerosi luoghi di culto, ed ancora oggi, anche se in tono minore, dalla partecipazione alle messe domenicali e alle commemorazioni dei santi protettori del nostro paese, di quel legame ve n’è ancora una forte traccia, soprattutto nei giovani.
Mentre la povera gente non poteva far altro che pregare e ricevere qualche miracolo, e di questo ne parleremo più in là, qualche uomo o donna potente ricevendo anch’egli miracoli, o anche solamente per devozione, innalzava dei grandi o dei piccoli “templi” in onore del suo pregato, e ne è testimonianza la chiesa di san Tommaso Apostolo sita nell’omonimo rione.
Nella millenaria storia di chiaromonte vi è scritta in una pagina anche quella di un luogo di culto che oggi non esiste più, ma che per alcuni centenari aveva forte significato.
Una croce di legno, messa in sostituzione di una croce di ferro distrutta dal “progresso”, pare essere solamente un simbolo piantato per devozione, vista anche la sua locazione.
Tale croce è posta su un’isola pedonale che divide un incrocio nel rione di “grotta dell’acqua”, lì dove oggi ha luogo la scuola media Santa Lucia, e dove si svolge la fiera del catarozzolo, e chi non ha conoscenza della sua storia, quel simbolo ha come significato solo quello votivo, e non significativo.
La croce lignea, oltre a rappresentare la spiritualità e la devozione dei cittadini, è stata piantata in quel preciso luogo per una sostituzione. Sacra.
La croce che rappresenta la
presenza della cappella
Fino agli anni sessanta-settanta al posto della croce di legno, si ereggeva la cappella della Santissima Annunziata.
La struttura sacra, eretta nel primo decennio del 1700 da Ruggero Perpignano, apparteneva al territorio della matrice della chiesa di San Giovanni Battista.
Fu abbattuta già nel 1753.
Ricostruita in data sconosciuta, la cappella, con il passare del tempo finì nel diventare un rudere, cadendo nel dimenticatoio, per poi essere definitivamente abbattuta e ricordata con quel simbolo religioso.
Riportare in vita oggi la cappella della Santissima sarebbe impossibile. La zona, che fino agli anni settanta era semideserta, oggi è popolata e piena di costruzioni.
Basta anche solo la croce a farci capire il significato del bene, e ad aiutarci a capire che il mantenere vivo il nostro paese aiuta a tenere vivi tutti noi.


Giovanni Amendolara, Lucio Vitale


Fonte: luoghi sacri, casali e feudi nella storia di Chiaromonte - Francesco Elefante – 1988