Di Lucio Vitale
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Articolo pubblicato anche su Il Quotidiano della Basilicata
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Storia inserita in Archivio > I grandi Chiaromontesi
La famiglia Leo di Chiaromonte
Palazzo Leo |
l'avvocato Francesco Leo |
Furono medici, magistrati, avvocati, sindaci, poeti e patrioti: Sono i Leo di Chiaromonte.
L’origine del cognome “Leo” sembrerebbe d’origine normanna, e che si sia sviluppato con il loro arrivo nell’Italia meridionale, specialmente nel Salento ed in altre zone del sud e dell’Italia centrale, oltre che in Piemonte e Lombardia. Sembrerebbe che derivi da legatus (legato), che nell’antica Roma di solito era associato alla carica di governatore di una provincia (legatus pro pretore).
Nel dialetto chiaromontese il casato dei Leo, è sempre stato pronunciato “I Leg”, quasi fosse una forma contratta di legatus.
Di questa nobile famiglia chiaromontese, in ogni caso, si ha tracce della loro presenza nel territorio di Chiaromonte, già nel 1080, con un certo notaio Leo, che redasse in quel periodo un atto con in quale Giamarda, vedova del Conte Ugo Chiaromonte, donò all’abbazia di San Anastasio di Carbone, il Monastero di San Filippo di Beniamino, vicino alla terra di Tygano (Teana). In seguito ricompaiono a Chiaromonte con il notaio Domenico, che vi rogò dal 1735 al 1960 e che era originario della terra di Morano (in Calabria).
La tradizione notarile di questa antichissima famiglia sarà confermata dall’attività notarile con Deodato Leo, patriota partenopeo, che esercitò dal 1796 al 1845 e Nicola, invece dal 1846 al 1868.
In seguito, i Leo profusero a Chiaromonte, nell’arco di cento anni, un impegno politico e professionale di non poco conto. Molti furono gli esponenti di questa illustre famiglia che esercitarono l’attività di medico, di magistrato, di giurista, di legista e di avvocato nel centro della valle del Sinni e tra Lagonegro, Salerno, Roma ed altre città d’Italia.
Di questa famiglia, 4 esponenti ricoprirono la carica di sindaco di Chiaromonte tra il primo decennio dell’ottocento ed i primi decenni del novecento.
Proprio nello stesso periodo, precisamente dal 1863 al 1864, Francesco Leo fu eletto consigliere provinciale, mentre Eduardo Leo fu eletto nel mandamento di Chiaromonte come consigliere provinciale e confermato per circa trent’anni, nei quali fu anche Presidente della Deputazione Provinciale dal 1910 al 1912.
Successivamente ricoprì la carica di sindaco di Lagonegro nel 1914.
Ma è con Francesco, che la famiglia si fa riconoscere in Italia e nel mondo per le sue non comuni doti di poeta e patriota.
Uno dei più grandi ingegni della Basilicata di quel tempo, Vito Maria Magaldi, nel 1894 disse di lui: «Fu poeta vero, e lui diranno le sue opere – il suo verso fu flagello ad ogni menzogna, fu sprone acuto e gagliardo sentire; ideale dei suoi canti la Patria, per la quale soffrì ben sette anni di ferri».
Francesco Leo, nasce a Chiaromonte il 26.3.1811 da Don Emmanuele Leo, e da donna Regina Grandinetti.
Nel 1834 si laurea in giurisprudenza, è oltre ad esercitare la professione forense, non rinuncia ai suoi ideali politici, nutriti durante i suoi anni di studio a Napoli.
Nei fatti del 1848 fu membro del Circolo Costituzionale di Chiaromonte ed organizzò gli arruolamenti per Campotenese.
La reazione che seguì, il 15 maggio di quell’anno, lo costrinse ad una latitanza penosa. Pur potendo, non chiese rifugio a casa Sole a Senise, per non mettere in pericolo la vita e la reputazione dell’amico Alessandro.
Arrestato nel 1850, fu processato dalla Gran Corte Speciale di Potenza e condannato a 7 anni di carcere, nonostante che il Procuratore Generale aveva chiesto per lui la pena perpetua. Scontò la sua pena tra Potenza, Napoli e Procida.
Si dice, che quando Francesco Leo entrò a Potenza nel carcere a notte inoltrata, si annunciò con un motto che rivela l’uomo e che lo rese da quell’istante caro agli altri concaptivi. Chiese scusa del disturbo, e ammiccando ai gendarmi, aggiunse: «Di mio volere non mi sarei mai permesso di disturbarvi a quest’ora».
In altri tempi ed altro ambiente egli avrebbe di certo lasciato maggior orma di sé.
Il 1860 lo trovò più pronto che mai.
Fu Presidente della Giunta insurrezionale di Chiaromonte, ma l’età, (era ormai quarantanovenne) la salute, per natura cagionevole, indebolita maggiormente dalla lunga prigionia, non gli consentirono di riprendere le armi e perciò offrì al paese delle vite più care della propria.
Aveva due figli, Emanuele ed Errico, il primo poco più che ventenne ed il secondo non ancora ventenne, e questi mandò tra i garibaldini a combattere sotto le mura di Capua nell’agosto 1860 aggregandosi alla VI colonna delle forze insurrezionali, che operano al comando di Aquilante Persiani.
Errico venne poi, appena laureato, strappato al suo affetto nel 1864 da un male ribelle. Tra quelli nati dopo la sua carcerazione vi sono Eduardo ed Umberto.
Divenuta una radiosa realtà il sogno della sua giovinezza e della sua maturità, di vedere una ed indipendente l’Italia sotto lo scettro di Casa Savoia, Francesco Leo rifiutò onori ed uffici lucrosi.
Giacinto Albini lo voleva prefetto; gli elettori deputato al Parlamento; ma le cure di famiglia, l’arte che lo chiamava con lusinghiere promesse, lo attrassero e restò semplice cittadino, elargendo, quando occorreva, l’opera sua al proprio Comune.
Tanto disinteresse e tanta nobiltà di propositi non gli costarono sforzi, perché ebbe, come pochi, anche nei tempi più tristi, la visione chiara dell’Italia unita.
Fu così che potette sopportare il dolore di essere stato, come sempre diceva, un parricida. Il padre Emmanuele Leo, infatti, vedendo il suo unico figlio, straziato dal martirio delle catene dei forzati nel penitenziario di Procida, si spense con il crocifisso ed il ritratto dell’adorato Francesco tra le mani.
Stemma della famiglia Leo. |
Fece lavori di pittura e di scultura non di spregevoli.
Ebbe ad erudirsi in molte branche del sapere, aiutato in ciò dalla conoscenza perfetta del latino e del francese.
Ma la sua grande passione restò la poesia. Nemico e avversario di preti e di clericali, vedeva il loro l’elemento conservatore, gretto e refrattario che impediva al popolo di trovare sfogo verso quelle idee rivoluzionarie e risorgimentali che portavano l’Italia verso più alti destini.
Nonostante tutto, dopo il 1860, quando ne avrebbe avuto la possibilità, non volle che fosse torto neanche un capello a quei clericali suoi nemici e persecutori.
Volle anzi che i loro nomi fossero ignoti perfino ai suoi figli.
Virtù del perdono, che gli veniva impartito dallo studio dei Vangeli.
Francesco Leo trascorse gli ultimi anni della sua vita, nella villa Leo di Savino. Ubicata a metà tra il centro abitato di Chiaromonte ed il fiume Sinni, questo bellissimo pezzo di terra, diventato per mano di Francesco un po’ orto botanico, un po’ giardino, caratterizzato da un doppio filare di cipressi che si prolungano verso il paese rappresentò l’oasi di tranquillità e di pace voluta da Francesco.
Sull’ingresso di casa, sono ancora scolpite le parole da lui volute: “Amici set ne paucis pateat etiam Fictis” le quali, in buon volgare, vanno così intese: (questa porta sia aperta agli amici, e affinché non siano pochi, anche ai finti amici).
Si spense nel suo paese natio il 1 ottobre 1894 ad 83 anni, spesi tutti nell’amare la patria, la famiglia e le lettere.
All’indomani della sua morte, le spoglie furono composte nella bara con ancora evidenti alle caviglie i segni delle catene borboniche.
Pochi furono gli omaggi resi dai suoi concittadini alla memoria di Francesco Leo.
Soltanto tre anni dopo la sua morte, un gruppo di suoi umili conterranei già emigranti da molto tempo nella lontana Argentina, dedicò alla sua memoria una targa di bronzo con questa scritta:
“ A Francesco Leo, cittadino esemplarissimo, avvocato e poeta venusto, martire del dispotismo. I suoi concittadini residenti al Plata offrono. Buenos-Ayres 1897”
Nel 1903, un altro dono ancora più prezioso e pieno di ossequiosa devozione giunse da quei concittadini lontani (identico dono gli Italiani emigrati in Argentina fecero avere a Giuseppe Garibaldi); un quaderno contenente una lettera (indirizzata al figlio Umberto, sindaco di Chiaromonte, nella quale si magnificano le capacità amministrative dello stesso ed il ricordo del patriottico padre suo Francesco) con apposte le loro firme, sia dei compaesani emigrati a Buenos-Ayres che quelli emigrati a Gualeguychù.
A Francesco Leo Chiaromonte ha dedicato la strada più lunga ed importante del centro storico, sulla quale si affaccia la casa natale.
Anche il comune di San Severino Lucano, ha dedicato a Francesco una piazza.
Nel 2004, Eduardo Leo, erede di questa importante famiglia, ha tramandato ai posteri uno splendido libro: “I Leo di Chiaromonte”.
Dedicato alla memoria dei propri avi, ai posteri e ai cittadini di Chiaromonte, Eduardo ha ricostruito e raccontato la storia di questa famiglia che per più di un secolo ha contribuito ha rendere grande l’immagine di Chiaromonte, «affinché – scrive Eduardo – non si perda la memoria della loro storia e delle persone che la scrissero».
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