Di Niccolò Figundio
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Storia inserita in Archivio > Chiaromontesi raccontano
Occupandomi, per passione, di storia dell'esercito italiano nella Grande Guerra, pochi mesi fa mi sono imbattuto, per puro caso, nella vicenda di Andrea Vincenzo Figundio, uno sfortunato cugino di mio bisnonno, Giovanni Figundio. Ecco la sua storia.
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Un Chiaromontese in guerra
la storia di Andrea Vincenzo Figundio
Tra i tanti chiaromontesi che si devono preparare a lasciare le loro case e le loro famiglie, c'è anche Vincenzo Andrea Figundio. Nato il 22 febbraio del 1889, è figlio di Giovanni Figundio e Francesca Cersosimo. Occhi azzurri, capelli castani, fa il contadino, è celibe e, purtroppo, analfabeta. Nel 1909, al compimento dei vent'anni d'età, era già stato chiamato all'arruolamento nel Regio Esercito, ma, appunto, era stato "riformato". Così, sette anni dopo, il 22 maggio del 1916, dopo un faticoso viaggio, raggiunge, con gli altri richiamati, il distretto militare di Potenza. Nuovamente sottoposto alla visita di leva, viene ritenuto "idoneo alle fatiche di guerra", e dunque arruolato.
Viene destinato al 16° Reggimento Fanteria della Brigata "Savona", di stanza a Gaeta, ove giunge il 15 maggio. Qui, il giovane chiaromontese, assolve il trimestre di addestramento intensivo previsto per i richiamati alle armi che non hanno mai prestato il servizio militare. Alla fine di agosto, terminato l'addestramento, è trasferito all'8° Reggimento Fanteria della Brigata "Cuneo", che si trova di stanza a Milano e recluta i propri effettivi, tra gli altri, dal distretto di Potenza.
Qui rimane solo per pochi giorni: ai primi di settembre, infatti, è aggregato ad un battaglione complementare destinato a rinforzare il 229° Reggimento Fanteria, che, insieme al 230°, costituisce la Brigata "Campobasso". Questo reparto, dopo aver subito pesantissime perdite nel corso di ripetuti assalti contro il Monte Santo di Gorizia, si è infatti portato in seconda linea per riorganizzarsi. L'11 settembre, Andrea Figundio giunge così in zona di guerra, presso il suo nuovo reggimento, che si trova accampato in una piccola valle ai piedi del Monte San Gabriele, nei pressi del villaggio di Salcano (oggi Solkan, in Slovenia), impegnato in lavori stradali e di rafforzamento dei trinceramenti circostanti. La Brigata "Campobasso", al momento, è inquadrata nella 10^ Divisione. Questa fa parte del VI Corpo d'Armata, a sua volta inquadrato nel "Comando della Zona di Gorizia", una grande unità da poco costituita, a cavallo degli schieramenti della 2^ e della 3^ Armata.
Solo pochi giorni dopo l'arrivo al fronte del fante lucano e dei suoi commilitoni "freschi di richiamo", il 229° reggimento partecipa ad un'azione dimostrativa, in appoggio all'attacco che un'altra unità sferra contro le posizioni dell'altura di Santa Caterina, una collina che sovrasta Salcano: per il giovane soldato è il "battesimo del fuoco". L'azione, tuttavia, porta a scarsi risultati, e i nostri fanti sono costretti a ritirarsi nelle posizioni di partenza. Nel mese di ottobre, la "Campobasso" estende il proprio schieramento fino al Monte Sabotino e ad alcune posizioni sulla riva orientale dell'Isonzo.
Poco tempo dopo, nella notte del 4 dicembre, gli austro-ungarici attaccano in forze le trincee italiane del Sabotino: la resistenza eroica e pronta dei nostri fanti li costringe, però, a ritirarsi rapidamente.
Fino al termine dell'anno, e poi, per i primi mesi del 1917, la brigata rimane sempre nel settore del Monte Sabotino, alternando il servizio in trincea con alcuni turni di riposo, trascorsi nelle immediate retrovie del fronte.
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Fotografia del San Gabriele e della "Cima Verde", scattata nell'agosto 1917 dal mar. magg. dei RR CC Cesare Nalini Tesini (cortesia Giulio Montanari) |
Alla "Campobasso", in particolare, viene affidato il compito di occupare la Sella di Dol e, possibilmente, la vetta del Monte Santo.
L'attacco è fissato per l'alba del 14 maggio. Il 229° reggimento si trova schierato nelle trincee ubicate tra "Cima Verde" (una modesta collina parte del massiccio del Monte San Gabriele) e la strada che conduce al villaggio di Dol. All'ora prefissata, i fanti della "Campobasso" scattano dalle proprie trincee e muovono contro i loro obbiettivi. L'avanzata, sin dai primissimi momenti dell'attacco, viene, però, duramente contrastata dal fuoco dell'artiglieria e delle mitragliatrici nemiche, che - nascoste in ampie caverne scavate nei fianchi del monte - causano gravi perdite ai nostri reparti. Così, mentre il 230° riesce, pur con pesanti sforzi, a sferrare l'attacco decisivo al Monte Santo, ottenendo la conquista della vetta, il 229° reggimento rimane, invece, inchiodato sul fondovalle, trovando un ostacolo insormontabile nelle organizzatissime difese nemiche: il reparto, rimasto bloccato per ore sotto il tiro incrociato del nemico, è alfine costretto a ripiegare sulle posizioni di partenza. A sera, tuttavia, anche il 230°, minacciato di accerchiamento, è costretto ad abbandonare la cima del Monte Santo, e si ritira sul rovescio del monte.
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Cartina IGM del settore Veliki Hrib - San Gabriele |
Nei due giorni successivi, si susseguono ulteriori assalti dei fanti italiani, che però non sortiscono gli effetti sperati: la vetta del Monte Santo rimane saldamente nelle mani degli Austro-Ungarici, che l'hanno rapidamente rioccupata. Il 16 maggio, il solo 230° reggimento ritenta nuovamente l'attacco, ma i poderosi apprestamenti difensivi, uniti al fuoco di numerose mitragliatrici, rendono impossibile l'avanzata. Il giorno seguente, mentre il 230° viene inviato in retrovia per riordinarsi, il 229° reggimento si schiera a presidio delle trincee conquistate nei giorni precedenti.
Nonostante la situazione di stallo, i comandi della "Zona di Gorizia" si sentono in grado di garantire, entro qualche giorno, la conquista del Monte Vodice e del Monte Santo. Il 20 maggio, il Comando Supremo ordina dunque di sferrare un nuovo attacco generale, lungo la linea dal Monte Santo al mare, per tentare di sbloccare la situazione.
Alla 10^ Divisione, ancora una volta, è affidato il compito di tentare la conquista dell'insanguinato Monte Santo. Questa volta, però, accanto ai soldati del 229°, ci sono quelli della brigata "Palermo", del cui 67° reggimento fanno parte molti lucani. All'ora prestabilita, i fanti della "Palermo" vanno all'attacco, supportati dai commilitoni del 229°, e iniziano la risalita delle pendici occidentali del Monte Santo: dopo ore di combattimento furioso, riescono a superare la resistenza degli austro-ungarici, raggiungendo la cima contesa ed i resti del santuario della "Madonna del Montesanto", quasi del tutto raso al suolo dai bombardamenti. Tuttavia, cospicui rinforzi avversari, sbucati da alcune gallerie scavate sotto alle rovine del santuario, aggrediscono i nostri di sorpresa e, dopo una furibonda lotta, li costringono ad abbandonare nuovamente la cima appena conquistata. A sera, anche il 229° reggimento viene ritirato sulle posizioni di partenza.
Il giorno seguente, 21 maggio, le operazioni offensive, nel settore della "Zona di Gorizia", vengono ufficialmente sospese da parte del Comando Supremo italiano. Il teatro degli scontri si sposta a sud, nel basso Isonzo, ove entrano in campo le truppe della 3^ Armata. Subito, però, l'esercito imperiale austro-ungarico passa al contrattacco, sferrando ripetuti assalti contro le trincee del Vodice, del Sabotino e del San Gabriele, per tentare di strappare agli Italiani anche quei pochi palmi di terreno conquistati nel corso della settimana precedente.
Il 22 maggio, un martedì di sole, Vincenzo Andrea Figundio si trova schierato, con i suoi commilitoni del 229° reggimento della "Campobasso", nelle trincee della "Cima Verde" del Monte San Gabriele. Per il reggimento, sono gli ultimi giorni di servizio in linea, prima di essere inviato nelle retrovie per trascorrere il turno di riposo. Il giovane soldato, probabilmente, sta pensando con soddisfazione che, dopo tanti giorni di combattimenti violentissimi, dopo aver rischiato la vita quasi quotidianamente, è forse arrivato il momento di tirare un sospiro di sollievo. Con la speranza, magari, di ottenere l'agognata "licenza estiva", per tornare dalla sua famiglia per qualche giorno. E invece, un tragico destino lo attende al varco.
Ad un tratto, si sentono gli "hurrà" del nemico che si lancia all'attacco: in pochi minuti, di fronte alle nostre trincee si scatena un violento combattimento. Nello scontro, il soldato Figundio, insieme a numerosi suoi commilitoni, cade ucciso. Le sue spoglie vengono frettolosamente composte in qualche piccolo cimitero di guerra delle vicinanze: nella migliore delle ipotesi, saranno poi traslate, negli Anni '30, fra gli "ignoti" del Sacrario di Redipuglia. Ma se della sua tomba si sono perse le tracce, il suo nome, insieme a quello di altri 35 giovani, è inciso nel marmo del monumento ai caduti di Chiaromonte: finché qualcuno si fermerà presso quel piccolo monumento, e getterà uno sguardo a quei nomi, non si perderà neppure la memoria del sacrificio di quei ragazzi d'un secolo fa.
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