Ottobre 2024 mese dedicato a Zë Giuànnë “u ‘Mbrònë” Cuccarese

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U TËSÒRË DU ZËCCAWUÌË

di G.D. Amendolara
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Storia inserita in Archivio > Arræsë u fuòchë


U Pòndë du Zëccauìë.
Foto. Rosaria F. Amendolara

“È mattina presto.

Ciccillo è sveglio, pronto per affrontare una nuova giornata di lavoro e sacrifici.
Alle prime luci dell’alba si incammina per raggiungere i terreni oltre i confini del centro abitato.
Arrivato a Santa Maria, a pochi passi dal varco du Pòndë du Zëccawuìë, della terra da poco rimossa e panciuta attira la sua attenzione.
La curiosità prende il sopravvento e lo sollecita a scavare.
Riporta alla luce un pesante recipiente di terracotta. Lo estrae, lo rompe. Meraviglia, un tesoro!
In quello stesso momento compare una donna. La conosce, è del paese.
“Buongiorno Cëccì” saluta.
“Che stætë facènnë assëgnërië?” gli chiede.
“Buongiorno Rusì” fa Ciccillo con espressione piena di meraviglia.
“Quìllë ca stæghë facènnë ì u putìtë fæ purë vuië”…

Il Ponte dal verso "Tempa degli Angari".
Foto Rosaria F. Amendolara

Chiaromonte.
Siamo a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso.
È mattina presto, ancora buio.
Puntuale Ciccillo si sveglia.
È incredulo. È nel suo letto, non è allu Pòndë du Zëccawuìë, e non ha nulla tra le mani.
Era un sogno, solo un maledettissimo sogno troppo reale per crederlo tale.
Alle prime luci dell’alba varca la soglia di casa. Ha un’altra giornata durissima da affrontare.
Come tutte le mattine si incammina per raggiungere i terreni oltre i confini del centro abitato.
Una strana sensazione lo attanaglia. Pare stesse vivendo ogni attimo di quel sogno, ma era sveglio, nella realtà, quella da affrontare tutti i giorni.
Attraversa l’l’àrië dë Mënghìllë, raggiunge Santa Maria, e si incammina nel sentiero che porta allu Pòndë du Zëccawuìë.
A pochi metri di distanza dal varco si ferma incredulo.
Non gli par vero ma della terra da poco rimossa, panciuta, attira la sua attenzione e lo invita a scavare.
Estrae un grosso e pesante recipiente di terracotta. Lo spacca. Meraviglia!
Nello stesso istante passa di lì una donna. La conosce, è del paese.
“Buongionë Cëccì” lo saluta.
“Che stætë facènnë assëgnërië?” gli chiede.
“Fàttë i fàttë tòië” risponde con volto rabbuiato.
“Fàzzë quìllë ca më pærë” chiude bruscamente.
D‘un tratto il suo volto torna ad essere incredulo, peggio che al risveglio.
Tra le mani non ha più nessun prezioso di quel monile appena scoperto, ma solo cenere, e mentre la disperazione lo assale, Rosina, meravigliata dalla sua arroganza, si incamminava e fa ritorno al paese.

È una zona particolare Santa Maria.
È un lembo di terra racchiuso tra la Vallina, Santa Lucia e San Pasquale, ed oggi parte integrante della nuova e tanto discussa zona del paese.
A caratterizzarla è il massiccio e antico Pòndë du Zëccawuìë, traducibile quasi certamente con Zaccaria.
I tesori lì scoperti testimoniano l’antichità della nostra storia, e mi hanno permesso di non utilizzare la parola leggenda in quanto, quella appena letta, è una storia vera vissuta da un nostro paesano, e da quella donna di passaggio dei quali ho omesso solamente i nomi, per rispetto alla riservatezza.
Inoltre, ci insegna anche un’altra lezione: siamo sicuri che il detto “Nòn dæ rèttë a suònnë” abbia ancora valenza?

Il ponte con la neve.
Foto Stefano Sarubbi

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Il 1924 e l'indegna memoria ai Caduti

di G.D. Amendolara
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Storia inserita in archivio > Storie Chiaromontesi

Questa che state per leggere è una storia esclusiva di
Chiaromonte e le sue Storie.
Contiene notizie e foto inedite.


Chiaromonte, anni 30, e la lapide ai Caduti
affissa sul portone principale della Chiesa Madre
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1918

La guerra, la Grande Guerra era finita.
La firma dell’armistizio donò un sospiro di sollievo ai Chiaromontesi, alleggerì i loro animi appesantiti da quelle quaranta vite perdute e che mai più tornarono alle loro case.
Gioiosi, “Miracolo” urlarono molti di loro per le grazie accolte dalla Madonna portata in processione qualche settimana prima, inconsapevoli che di lì a poco tante cose sarebbero cambiate.
Una nuova guerra era da combattere, e questa volta tra le mura di casa.

Processione della Madonna della Pace,
proclamata Santa Protettrice di Chiaromonte
il 1920

1920

Chiaromonte si vestiva a festa per proclamare la sua Santa Protettrice: La Madonna della Pace.
Impressionante la partecipazione dei Chiaromontesi che, con gli emigrati, contribuirono soprattutto economicamente all’organizzazione di quella che fu quasi certamente la più grande festa della nostra storia.
Cassa armonica, concerto bandistico, la fiera, la processione, migliaia di fedeli, i colpi scuri e, guardinghi, tanti volti infastiditi da quell’entusiasmo.
Era il 1920.
Due anni trascorsero dalla fine della guerra, e il silenzio e la dimenticanza verso il sacrificio dei caduti da parte delle istituzioni e anche del paese, rimbombavano ancor più che le bombe sui campi di battaglia, un comportamento ignobile sino ad allora taciuto ma non inosservato.

Scolaresca e fascisti in piazza Garibaldi

1923

Il fascismo impose il suo dominio anche su Chiaromonte.
Non potendo altrimenti, la longeva amministrazione Breglia si avviò verso le dimissioni, rassegnandole però solo dopo aver esaudito il desiderio dei Chiaromontesi.
In quella che fu la loro ultima seduta consiliare, a metà del 1923, deliberarono la commissione di una lapide commemorativa ai caduti della Grande Guerra, archiviata, però, per un “errore procedurale” contemporaneamente allo scioglimento del comune.

1924

Chiaromonte divenne fascista.
Solo una voce, tra tante messe a tacere, venne ascoltata.
Decantatori della Madre Patria e dei suoi eroi, ripresero in mano la delibera archiviata, la “sistemarono”, la approvarono, commissionarono la lapide e nel contempo scatenarono le ire dell’arciprete Pozzi, contrariato dalla decisione del sindaco di installarla sul portone principale della Chiesa Madre e non sulla facciata del campanile come accordato, solo per accontentare il desiderio di qualche Chiaromontese.
Passati sei anni dalla fine della guerra, Chiaromonte ebbe e accolse con freddezza la tanto desiderata memoria ai caduti.

La tanto contestata lapide
installata il 1924, e ancora oggi presente
sulla facciata del campanile della Chiesa Madre

CHIAROMONTE
Al culto dei posteri tramanda
il nome dei suoi eroici figli
che per la patria libera ed immortale
la vita immolarono


Approfittando della situazione imbarazzante tornarono i Chiaromontesi messi a tacere.

[…] Per il loro «Dovere» tutto hanno dato, in silenzio, e noi troppo presto abbiamo dimenticato il loro sacrificio.
[…]Se dobbiamo onorare degnamente i nostri morti dovremmo ricordarli con un monumento degno di tal nome, e non con qualcosa di indefinibile o sconciamente mostruoso…
[…] Si spendono migliaia di lire all’anno, «si bruciano» migliaia di lire in onore dei santi per conservare un’antica balorda tradizione che non sappiamo quanto vada a genio ai santi stessi che si vedono onorati col «culto del rumore…

Da La Basilicata nel Mondo – 1924

Guidati da Arnaldo Spaltro e Antonio Ricci puntarono il dito contro tutti, Comune, Chiesa, emigrati e paesani, capaci di organizzare e raccogliere soldi per le feste patronali ma dimentichi di coloro che pagarono con la vita il caro prezzo della libertà.

Gaetano Cetta (a sinistra) e Arnaldo Spaltro (a destra)
due dei tre fautori del Monumento ai Caduti

Chiamati in causa, gli emigrati risposero prontamente.
Gaetano Cetta se ne fece portavoce invitando i paesani a donare ai caduti un monumento degno di portare tale nome.
In paese colsero al volo l’invito di Cetta e, sempre sotto suo consiglio, organizzarono “un comitato che dovesse valere e dare l’appoggio morale dell’iniziativa in modo da dare sicuro affidamento di serietà ai chiaromontesi emigrati”.

COMITATO DI CHIAROMONTE
per il monumento ai caduti

Avv. Emmanuele Allegretti – presidente
Antonio Ricci
Arnaldo Spaltro
Comm. Serafino Ricci
Dott. Francesco De Nigris
Avv. Enrico Anelli
Dott. Riccardo D’Amelio
Ins. Antonio Lauria

All’appello lanciato da Cetta e dal Comitato risposero in massa Chiaromontesi, emigrati, soprattutto la folta comunità presente in Buenos Aires e anche il Comune, raccogliendo nel giro di un anno migliaia di lire.
Era fatta!
Con spirito guerrigliero, di sacrificio, appartenenza e, visto il periodo, anche tanta paura, ottennero ciò che tanto desideravano, e avviarono le pratiche per la realizzazione di un monumento ai caduti degno di essere chiamato tale.

Ai nostri Eroi
Caduti nella Grande Guerra
per la Patria e la nostra libertà

Ten. Allegretti Giovanni Battista
Ten. Santomartino Leonardo
Sold. Armenti Giovanni
Armenti Domenico
Arbia Pasquale
Amendolara Giuseppe
Amendolara Raffaele
Cersosimo Luigi
Ciancio Egidio
Ciancio Vincenzo
Ciancio Egidio Antonio
Cosentino Antonio
De Palma Amntonio
De Palma Domenico
De Salvo Antonio
Donato Emidio
Donato Paolo
Figundio Vincenzo Andrea
Guglielmelli Nicola
Grandinetti Nicola
Grandinetti Raffaele
Guarino Andrea
Guarino Nicola
Grossi Luigi
Landi Antonio
Laruina Domenico
Lista Giovanni Antonio
Lista Vincenzo
Maltese Nicola
Marsico Giuseppe Maria
Marsico Nicola
Pangaro Giuseppe Vincenzo
Rosato Giuseppe
Sergio Arcangelo Raffaele
Sergio Giovanni
Santomartino Raffaele
Stigliano Egidio
Viola Andrea
Viola Raffaele
Vozzi Domenico


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Fonti

Chiaromonte, economia amministrazione pubblica, cultura. Elefante, 1989

Internet Culturale

Archivio storico personale
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Storie correlate




Tenente Giovanni Allegretti, un eroe Chiaromontese



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Tenente Giovanni Allegretti, l'eroe Chiaromontese




"Un ricordo estrapolato da un articolo di giornale del tempo
che riguarda il mai dimenticato Zio Giovanni di Chiaromonte in provincia di Potenza. 
Riposa in una Cappella a Chiaramonte"

Armando Plantulli
pronipote di Giovanni Allegretti

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IN MEMORIA DI UN EROE DI CHIAROMONTE

"Chiaromonte. Giovanni Allegretti, a cui questo capoluogo è orgoglioso aver dato i natali, giovane di grande ingegno e gran cuore, e dall’animo aperto a tutte le idee generose, fu uno dei primi, che, al momento della dichiarazione della guerra, lasciati gli sudi diletti, entrò nella scuola di Modena.
Nominato sottotenente e destinato al 29° Fanteria, fu inviato al fronte, e prese parte ai primi combattimenti. Ed ecco che si fece subito notare, per il suo coraggio e per il suo senno, animati dall’alto sentimento del dovere e il vivo spirito di sacrificio.
Promosso per merito di guerra, raggiunse, appena ventiquattrenne, il grado di Capitano, e fu insignito di varie decorazioni, a causa degli atti e delle ferite riportate sul campo di battaglia, ove alfine incontrò gloriosa morte nei pressi di Monfalcone il 9 Ottobre 1916. Ond’è che per le sue alte virtù egli seppe meritare il titolo di Eroe, e la cittadinanza che ha nobilissime tradizioni patriottiche, scolpì, a grandi caratteri, il suo nome sulla base granitica del nostro monumento ai Caduti di questa nostra terra, che si immolarono nella grande guerra di Redenzione Italiana.
Oltre ciò di questi giorni per lodevole iniziativa dell’Onorevole Arduino Severini, delle autorità scolastiche di Melfi, e del professor Rispoli, Preside di quell’Istituto Tecnico, ove Giovanni Allegretti fu tra i più distinti studenti, si è intitolato al nostro eroico concittadino l’aula di Fisica di quel Collegio, apponendovi una grande fotografia dell’estinto.
Il nobile atto votivo, che tanto onora le autorità di Melfi è stato appreso con ammirazione e riconoscenza verso di loro e con vivo e rinnovato compianto per l’estinto."
Ecco i dati del Soldato:

Allegretti Giovanni Battista di Lodovico
Albo d'Oro Basilicata - (Vol III)
Nato l'8 aprile 1893 a Chiaromonte,
Provincia di Potenza, Regione Basilicata

Tenente appartenente al 9° Reggimento Fanteria,
Brigata Regina, Distretto Militare di Potenza

Morto il 9 Ottobre 1916 a Lokvica per ferite riportate in combattimento

Loquizza o Loquizza Seghetti (in sloveno Lokvica), è un paese della Slovenia, frazione del comune di Merna-Castagnevizza. L'appellativo doppio in lingua italiana era dovuto alla presenza dell'agglomerato di Segeti (in italiano in passato Seghetti) a 550 metri a sud-est di Loquizza.
Durante il dominio asburgico Loquitza (Lokvica) fu frazione del comune di Oppacchiasella (Opatje Selo)
Le alture che circondano Loquizza (oltre al Colle Grande, soprattutto il Pecinca, furono d'importanza strategica durante la prima guerra mondiale. La posizione di Loquizza subì, durante il conflitto, numerosi cambiamenti. Dal maggio del 1915 (inizio della guerra) fino all'agosto 1916 (presa di Gorizia), Loquizza appartenne alle retrovie austro-ungariche. Dall'agosto 1916 al novembre dello stesso anno, il paese venne attraversato dalla linea del fronte che si era lentamente spostata dal Vallone verso Loquizza. Dal novembre 1916 (sfondamento sul lato nord dell'altopiano) fino all'ottobre 1917 (ritirata delle truppe italiane), la zona di Loquizza faceva parte delle retrovie italiane.
Nel 1920, in seguito alla prima guerra mondiale e al Trattato di Rapallo, passò al Regno d'Italia, rimanendo inquadrata nel comune di Opacchiasella. In seguito alla seconda guerra mondiale e al Trattato di Parigi, passò alla Jugoslavia. Dal 1991 fa parte della Slovenia.
"Dopo una breve sosta in zona di riposo la brigata, dal gennaio al marzo 1916, alternò i suoi reggimenti nelle trincee del “Bosco Lancia” e riprese la sua attività guerresca, che si protrasse per tutto l’anno con esemplare spirito aggressivo.
Durante la 5a battaglia dell’Isonzo, il 13 marzo elementi scelti del II battaglione del 9° diedero l'assalto al Ridottino di q. 171 e l’occuparono con la cattura di circa un centinaio di prigionieri; il 13 e il 14 fu il III battaglione del 10° che, sostituito nella posizione conquistata il precedente battaglione, rintuzzò e frustrò i primi contrattacchi nemici. Senonché alle ore 22 del 14 l’avversario ne sferrò un altro assai più vigoroso, tempestò la trincea con rabbioso tiro di artiglieria, lanciò gas lacrimogeni e costrinse i difensori a cedere. Il giorno seguente il III battaglione del 9° tentò indarno di riconquistare il Ridottino.
In seguito i reggimenti si avvicendarono in trincea nello stesso settore e, tranne qualche piccola azione offensiva di carattere locale, tendente a saggiare i nemico, non si registrarono avvenimenti notevoli fino al 29 giugno, giorno memorando nei fasti dei fanti della Regina, sorpresi dagli effetti letali dei gas asfissianti, nuovo inumano mezzo di lotta esperimentato dal nemico.
Preparato da lunga pezza, con meticolosa cura, l’azione coi gas venefici mirava a ricacciare i nostri soldati oltre l'Isonzo e a liberare il nemico dalla nostra continua e crescente pressione. I gas velenosi furono lanciati improvvisamente poco dopo le ore 5 del 29 da appositi recipienti installati nelle trincee. Il settore della 21a divisione (S. Martino-q. 164) tenuto dalle brigate Pisa e Regina, venne investito in pieno; la densa nube bianco-giallognola di straordinaria potenza venefica, avanzando superò il rialto del Cappuccio e di q. 194 (ridotto “Regina”), discese ed invase le bassure, le conche, il bosco triangolare, il bosco Lancia e dilagò giù verso l’Isonzo e Sagrado, seminando nella sua micidiale corsa la strage e la morte. La prima difesa nella zona della 21a divisione fu opposta dal 10° fanteria, il quale ebbe in linea il I e III battaglione. Il comandante del reggimento ed il comandante della brigata accorsero subito verso la prima linea, sospingendo e rianimando gli uomini che storditi e attossicati retrocessero: questo pronto intervento rese possibile una prima difesa nel settore Regina (q. 194) nel quale l’avanzata del nemico venne contenuta.
La prima ondata avversaria era infatti venuta avanti, e, procedendo a piccolissimi gruppi, aveva già occupato tutta la prima trincea seminata di uomini svenuti incapaci di ogni reazione. La seconda ondata spinse la prima: pattuglie nemiche scesero audaci per i camminamenti e, imbaldanzite dal primo successo, si avventurarono più oltre: ma non fecero più ritorno. Superato infatti il primo momento di sbigottimento gli intrepidi fanti corsero alle difese. Le pattuglie italiane aggirarono i nuclei nemici; la pressione si fece a poco a poco più incalzante; su tutti i settori i nostri riattaccarono e premettero sui fianchi e alle spalle gli invasori. Dopo accanita lotta, questi isolati, disorientati, avviliti, uno alla volta, cedettero le armi.
Il comandante del 10° fanteria personalmente guidando al contrattacco i resti del suo reggimento e i rincalzi che il comando di brigata gli inviò tempestivamente, rioccupò, così la prima linea e, ristabilita la situazione sul suo settore, tenne in iscacco il nemico anche in quello contiguo della brigata Pisa, finché, sopravvenute altre truppe, l'avversario fu definitivamente respinto.
Le perdite inflitte al 10° fanteria nella calamitosa, ma gloriosa giornata, furono assai gravi e in massima parte dovute all’azione venefica dei gas:
Ufficiali : morti 34 - feriti 14
Truppa: id. 1286 - id. 162 - dispersi 170
Per le prove di valore ed ardimento date dalle truppe in questa azione e durante gli attacchi del 1915 e del marzo del 16, per cui i reggimenti della brigata “resero col loro sangue sacro alla Patria il M. S. Michele e le sue balze” fu concessa alle loro Bandiere la medaglia d’Oro al Valor Militare.
Riprese le operazioni sulla fronte della 3° Armata la brigata Regina, che presidiava col 9° le trincee ove aveva subito l'ecatombe dei gas, partecipò alla 6° Battaglia dell’Isonzo (6-17 agosto), anche col 10° ricostituitosi in meno d’un mese. All'inizio fece solo azioni dimostrative. Ma nella notte sul 10 agosto strappò al nemico le trincee dello Sperone e del Fortino e, in seguito alla conquista totale della testa di ponte di Gorizia e delle quattro cime del S. Michele, essa si lanciò all’inseguimento con l’ordine di avanzare senz’altro sulla fronte Vizintini-Devetaki. Il giorno 12 conquistò Oppacchiasella, sul ciglio opposto del Vallone, nonostante il vivo fuoco dell’artiglieria avversaria.
Dopo un brevissimo periodo di riordinamento, il giorno 29 fu ricondotta in linea nel settore di Oppacchiasella.
Il 13 settembre 1916 la Brigata Regina si riunì nei pressi di Devetaki per prendere parte, insieme alla brigata Pisa, alla 7a battaglia (14-18 settembre), nella quale fu ad esse assegnato come obbiettivo l’avvolgimento delle posizioni di Lokvica e la conquista del Pecinka.
Il 14, all’inizio delle operazioni, la Regina fu schierata per ala a cavallo della rotabile q. 87-q. 187, in riserva; il 15 entrò in azione senza per altro impegnarsi a fondo; il 16 insieme a reparti della brigata Pisa, alcune compagnie del 9° riuscirono ad oltrepassare i reticolati e a raggiungere le trincee nemiche, sulle quali gli avversari opposero una fiera resistenza, che non poté essere superata.
L’attacco venne rinnovato il 17. Mentre reparti del 10° tentarono invano di vincere la resistenza avversaria, il III battaglione del 9° con un brillante assalto, conquistò la trincea entro la quale, il nemico riavutosi dalla sorpresa della fulminea irruzione, li tempestò con vivo lancio di bombe a mano. Due compagnie del I battaglione, guidate dallo stesso comandante del reggimento, che era stato l’anima di tutto l’attacco, cercarono di portare in tempo aiuto al III battaglione, che ripetutamente contrattaccato dall’avversario, fu costretto ad abbandonare la trincea conquistata e tenuta per oltre due ore. Né il suo ripiegamento poté essere arrestato dalle compagnie del I battaglione, le quali, scosse dalla perdita del colonnello Stennio (medaglia d’Oro) caduto gloriosamente sul campo, ripiegarono anch’esse.
Il tentativo, che nella sola giornata del 17 costò al 9° reggimento 583 perdite delle quali 19 ufficiali, venne ritentato nell'8° battaglia dell’Isonzo (9-12 ottobre) da tutta la brigata, rimasta ininterrottamente in linea. Le posizioni di Lokvica vennero investite con grande slancio e la prima linea nemica, nel pressi del villaggio omonimo, fu occupata dai nostri il 10 ottobre, primo giorno di lotta. Il successo però non fu duraturo, poiché prima di sera l'avversario contrattaccò con forze soverchianti e costrinse i reparti della Regina, dopo lunga e disperata lotta, a ripiegare sulle trincee di partenza; né i rinnovati attacchi del giorno seguente fruttarono ai nostri alcun altro vantaggio.
Fu durante quei furiosi combattimenti che, il 9 ottobre 1916, cadde eroicamente sul campo il Tenente Giovanni Allegretti
Il 20 ottobre, la brigata Regina, lasciato il Carso così abbondantemente bagnato del sangue dei suoi prodi, raggiunse il settore But-Degano (Zona Carnia) alla dipendenza della 26a divisione.

PER NON DIMENTICARE

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