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Un Venerdì Santo di fede e stupore


di Angelomauro Calza


Era il 1957, aprile. 
La Pasqua si avvicinava con le campagne che si preparavano ad accoglierla in festa, ravvivate dai mille colori di una primavera che aveva scacciato con prepotenza il ricordo della storica nevicata di appena un anno prima. 
Processione anni 50 circa
Il 19 di quel mese, tre giorni prima della Resurrezione, mentre a Bolzano nasceva una certa Lilli Gruber, a Chiaromonte nelle stesse ore ci si preparava alla tradizionale processione del Venerdì Santo.
Era un rito particolarmente atteso in paese, una processione molto sentita. Anzi, due. 
Sì due processioni, che come da tradizione si avviavano contemporaneamente delle due Chiese principali del paese. Una dalla cima della collina, dalla Chiesa di San Tommaso, l’altra da quella di San Giovanni Battista da Piazza Garibaldi. Entrambe si concludevano al Calvario, davanti alle cinque croci erette all'interno di altrettanti portici a forma di arco di una costruzione in cemento bianca e azzurra. 
In quel rione ancora non c’erano le palazzine di oggi, né la pasticceria, né l’albergo, ma era un luogo sacro per tutti i credenti. 
Spesso, di ritorno dalla campagna, al crepuscolo, le donne davanti a quelle croci si fermavano a pregare e deporre con devozione mazzolini di viole e fiori di campo, mentre gli uomini, quando proprio non potevano fermarsi, con tra le mani la corda che governava l’asino con le sporte e i cofani carichi, almeno un momento per togliersi il cappello e segnarsi la fronte lo trovavano sempre.
Venerdì santo anni 20 in zona calvario.
Foto di Emanuele Giglio
Le due processioni ogni anno facevano sì che la statua del Cristo morto partisse da San Tommaso e dopo aver fatto il giro dei vicoli e delle stradine della parte alta del paese, costeggiando la strada delle Grotte, arrivava al Calvario, dove incontrava la statua dell’Addolorata, sua Madre. Questa vi era già arrivata e lo attendeva dopo essere partita dalla piazza principale, aver fatto visita alla statua dei Caduti, il “Monumento” del rione Croce, dove invertiva il suo percorso per ritornare di nuovo in piazza e quindi prendere la discesa per il Serrone, fino al Calvario.
Così ogni anno, da tempo immemorabile: una tradizione fatta di fede popolare e di tristi cantilene e preghiere che segnavano il lento incedere dei due cortei del Venerdì Santo.
Quell’anno il parroco della Chiesa di San Giovanni Battista, Don Giovanni Campo, con la questua dei parrocchiani aveva acquistato una statua del Cristo Morto e chiese al suo collega di San Tommaso, Don Franco Ferrara, di poterla portare in processione solo per quell'anno.
Qualcosa non andò per il verso giusto a causa di un evidente malinteso.
La processione con l’Addolorata e la statua del Cristo Morto nuova di zecca giunse al Calvario come sempre in anticipo rispetto all'altra. La gente pregava e intonava cantilene, in lontananza iniziarono a sentirsi voci simili che si avvicinavano sempre più: stava arrivando la processione partita da San Tommaso. Dopo qualche minuto la sorpresa: dalla lunga discesa che dalla cima del paese porta al Calvario si vedeva sempre più distintamente il corteo che seguiva la statua del Cristo Morto della Chiesa di San Tommaso.Un altro Cristo? Lo stupore ammutolì le cantilene e le preghiere dei fedeli. Fu allora che un bravo artigiano, un sarto rinomato, Vincenzo Infantino, nel silenzio più assoluto che si era creato, determinato dalla sorpresa evidente di tutti, si lasciò andare ad una esclamazione a voce alta: “Povera femmina! Aguann’ n’en’ accis’ duje!”





Ringrazio di cuore Angelomauro Calza, mio caro amico, che mi ha donato questa meravigliosa storia Chiaromontese.

Angelo (per chi non lo conoscesse, figlio del professore Carlo Calza) giornalista e scrittore, legato a Chiaromonte, dove è nato, è autore di un libro che ripercorre la storia di Chiaromonte in modo alternativo: Tra Santi e Mandarini ci sta pure uno Zebù. Vi invito a leggerlo.



Storie correlate: IL RIONE GIUDEA

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