Di G. D. Amendolara
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Storia inserita in Archivio > Tradizione culinaria
La storia contiene termini dialettali.
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Pænë e gàcquë ‘nda na cæsë non hæna mæië mangǽ
Ne sfornavano a šcanætë in un momento di aggregazione che coinvolgeva le famiglie e il vicinato, in paese e anche in campagna, un tempo tutti abitati.
O che rëcrièië se dal forno uscivano anche pëttëcèllë gundætë e cauzunièllë, ma se vedevano i pittë lìscë, oimmènë, perché consapevoli del duro lavoro che li attendeva, e pë sa mangiǽ s’aviena guadagnǽ".
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Falùzzë a Parèndë all’opera. Foto di Mario De Salvo |
A pitta lìscë è uno dei prodotti tipici della nostra tradizione culinaria.
Dall’origine contesa da molti, risale probabilmente al periodo greco, fortemente influente a Chiaromonte e nel meridione in generale. A confermare tale tesi è il nome stesso, pitta, dal greco πιττα, pita, pane piatto, con la sola differenza del buco in mezzo nella nostra.
Povera di ingredienti (grano duro, acqua, sale e lievito madre), in forme che un tempo raggiungevano anche i 3 kg, dapprima utilizzata per testare le temperature dei forni prima di cuocere il pane, divenne col tempo parte del fabbisogno alimentare grazie al suo prestarsi ottimamente come contenitore di farciture salate, il che la rende probabilmente l’antenata dei panini (in particolare rosette e ciriole), prodotto diffusosi in paese solo dopo l’apertura dei primi forni commerciali.
A Chiaromonte ha un forte legame con la cultura contadina, e la sua produzione, come detto sopra, combaciava con i duri lavori nei campi richiedenti numerosa manovalanza da sfamare.
La forma piatta e la tenacia rendono la pitta lìscë un ottimo contenitore e conservatore di sapori.
Tradizionalmente fa binomio con la buonissima insalata di peperoni arrostiti, ma accompagna benissimo altre prelibatezze tradizionali come la frittata chi zafarænë, o zafarænë e patænë o chi zafarænë crùšchë, senza dimenticare u sauzìzzë arrëstùtë, assëlutë o 'nda frëttætë chi zafarænë, a tièmbë andìchë solo quando era tièmbë dë puòrchë, mentre con i salumi è coppia eccellente con la mortadella.
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I pittë lìscë, sullo sfondo, e in primo piano a pìttë cu sammùchë. Foto Mario De Salvo. |
Come per il pane classico sulla pitta lìscë non vi è tanto da raccontare, infatti potrei già concludere così, ma necessita che torni sul nome e su alcuni appunti a riguardo.
La continua evoluzione delle lingue parlate, dialetti inclusi, in accelerata dal secondo dopoguerra, crea spesso confusione sul significato di diversi termini, proprio come accade anche per la pitta lìscë.
Sento spesso chiamarla chëddùrë, un termine che già dalle due d evidenza la non appartenenza al nostro dialetto, infatti è calabrese ed identifica la pitta lìscë in alcune zone della regione.
Altro termine, questo appartenente anche al nostro dialetto, è strazzætë, ma a differenza del buonissimo prodotto aviglianese (anch’esso una pitta lìscë), per i nostri nonni era a pittë ca rìghënë, ai loro tempi strappata con le mani e usata soprattutto per l’inzuppo e la scarpetta.
Ultimo termine è cullërièllë che, a differenza degli altri due, non è ne confuso e tantomeno errato, ma Chiaromontese e, oltre ad indicare un panetto realizzato dai piccoli di casa con i grumi restanti dell’impasto per il pane, quindi anche un modo per renderli partecipi alle attività lavorative della famiglia, è il nome col quale i nostri avi chiamavano a pitta lìscë, e vò fiurìscë a vùcchë a chìllë picchë che cia chiàmënë ancòrë.
I tuoi racconti mi ricordano profumi e sapori lontani nel tempo. Li ho annusati e gustati nei ricordi, oggi come negli anni passati. Grazie! R.R.V.L.
RispondiEliminaGrazie mille per tenere vivo il ricordo di mio padre!
RispondiEliminaA strazzet non è quella arrotolata e schiacciata diverse volte, condita in vari modi? Buonissima con le acciughe e una birretta fresca 🙂🙋
RispondiEliminaGrazie per questa descrizione
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