Ottobre 2024 mese dedicato a Zë Giuànnë “u ‘Mbrònë” Cuccarese

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TIÈMBË DË PUÒRCHË

Di G.D. Amendolara
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Storia inserita in Archivio > Tradizioni






La depilazione del maiale.
Chiaromonte anni 60

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Questa storia contiene termini dialettali.
Alla fine del testo la traduzione dei termini incomprensibili.

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‘Nda së misë dë vièrnë Chiaromonte pareva u cambësàndë di puòrcë.
Gennaio, ma anche febbraio, il mese adatto per la macellazione del maiale, p’accìdë u puòrchë.
Alcuni provvedevano sotto Natale perché provvisti del posto adatto per poterlo curare e, magari, in questo mese macellavano il secondo, soprattutto nelle famiglie numerose.
Gli altri, i molti, attendevano febbraio, per l’appunto, pëcchè ièrë tièmbë dë puòrchë, e potevano curarli benissimo in casa, appìsë allu cëlëræsë.
Ne allevavano almeno uno a famiglia.


U sanapurcèllë in piazza mercato.
Anni 54/55.

Di solito li acquistavano alla fiera di Sant’Uopo o San Giovanni a Giugno, e a quella du Cataruòzzuwë a settembre li portavano a sanǽ, facendoli benedire da Sant’Antonio, anche se non era Abate, il santo raffigurato col maiale.


Uno degli ultimi maiali cresciuti in paese,
nel rione timpone.
Foto Giuseppe Comito. Prima metà anni 80


Un tempo chi viveva in paese, seppur proprietario di qualche piccolo pezzo di terra, oltre che galline, conigli, asini, pecore e capre, in casa, o ‘nda rullëcèllë, cresceva anche il maiale, e tutti i giorni lo si faceva pascolare pë ‘ndi strìttuwë.

Il giorno dell’uccisione, più che di lavoro, diveniva una vera e propria festa, nonché un rito che univa numerosi gruppi di persone, oltre che intere famiglie.
Prima che nasceva il sole, accendevano il fuoco posizionandovi na caudærë piena di acqua, così che, al momento della macellazione raggiungeva il bollore, così che li aiutava nella depilazione dell’animale.

Gli uomini provvedevano alla macellazione, senza margini di errore.
Le donne raccoglievano il sangue e davano una prima lavata agli intestini, e poi, tutti insieme, con l’acqua bollente, depilavano l’animale, senza buttare i peli, che sarebbero stati utilizzati o venduti.
A priesta matìnë avevano già concluso il primo passo.
Una volta sezionato in tre parti, potevano fare la colazione, e oltre ciò che avevano portato da casa, sul fuoco nella padella cuocevano u sànghëtièllë e un pezzetto di filetto, iuste pu buon augurië, e compariva il vino per far scendere il tutto… e per benedire.
Nel frattempo nelle case le donne avevano già preparato buffëttèllë, buffèttë, šcanatùrë, curtièllë, zaccurævë, spæchë, machënèttë, zafarænë pësætë, sælë, pèpë, acìtë, lëmunë, përtëgàllë, mësælë, mappìnë, struòglië p’annëttǽ, angun’atu cundë e… o furcìnë.




Una forchetta utilizzata per forare gli intestini.
Questa appartiene alla famiglia Paradiso,
ereditata da mia Nonna Paterna che me ne fece dono.

O furcìnë, le forchette, non utilizzavano affatto le classiche, ma quelle appositamente scelte, quelle più appuntite, magari avute onorese in eredità, e che utilizzavano solamente per pungere i salami, quindi tenute e custodite come la cara cresima.
Le case venivano tenute al freddo, non al gelo, e in camino giusto na pundarèllë dë fuòchë tenuto sotto controllo.
La carne arrivava nel primo pomeriggio o a ora di pranzo, e aveva inizio la festa.
Tutti invitati: parenti, amici, cumbærë e vicinato, tutti alla cena dove servivano puppèttë dë carnuværë, maccarùnë cu fièrrë o ràšcatièllë e vinë ca cu pëllëzzònë ca së mëttiènë e mò u sëndiènë u frìddë.
Messa la testa del maiale alla finestra, tutte a cucca’, che all’indomani iniziava il vero lavoro, quello svolto perlopiù dalle donne.


Lavati gli intestini e macinata e condita la carne, iniziavano a ghènghië, ed uno ad uno tra sauzizze e supërsætë si riempivano i športe. E continuavano con cæpëcuòllë, vucculærë, prësùttë, prësuttièllë, làrdë, sùrrë, murtatèllë, e preparavanòscòrzë, ‘nnuglië e suffrìtte, che il giorno dopo ‘nzògnë e frìttuwë e gëlatìnë avèrënë fàttë.

Foto Michele Cafaro

Il giorno più bello, però, quello del sanguinaccio, dove un vero e proprio rito vedeva gente andare e venire di casa in casa con in mano dei piatti.
Una pratica andata quasi del tutto perduta, dove, almeno fino a quarant’anni fa, vedevi tizio che faceva assaggiare il sanguinaccio a vicini e parenti, mentre altri facevano lo stesso, e quei vicini e parenti che i piatti avevano svuotati, li riempivano del loro sanguinaccio, e li tornavano ai legittimi proprietari.

Oggi son rimaste davvero poche le famiglie che praticano questa tradizione. Se non fosse per le contrade, in paese potremmo dichiararla in via d'estinzione.
Un tempo, invece, il maiale era un bene prezioso.
“Cu puòrchë c’è staie buon n’annë” dicevano.
Insieme all’asino, il grano e l’olio, era il tesoro di una famiglia, e di esso non si buttava via assolutamente nulla, manco le ossa che venivano date a cani e gatti, di casa o randagi, e tantomeno la vescica, perché u tièmbë dë puòrchë era anche tempo dë Carnuværë, e i ragazzi c’aviena fǽ u cupë cupë, e povera quella casa che apriva loro la porta.


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Traduzione alcuni termini dialettali
presenti nella storia


buffèttë e buffëttèllë
Tavolino, di medie-piccole dimensioni utilizzato per pranzare o cenare, solitamente vicini al camino

cëlëræsë
Soffitto

pëllëzzònë
Termine, uno dei tanti, che identifica la sbornia

rullëcèllë
Piccolo locale al pianoterra di una casa dove si allevavano gli animali

sànghëtièllë
Sangue del maiale soffritto in padella

sùrrë
Pancetta

zaccurævë
Grosso ago



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5 commenti:

  1. Che bei tempi. Tutta la famiglia unita,e mienz vicinanz ca davia na mena.

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  2. Bei tempi davvero. Regnava la semplicità, l'unione, l'allegria.... Qualità anch'esse in estinzione....

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  3. Volevo ricordarti Giovanni la prima cosa che che si arrostiva era la scannatora e l' osso del porcaro( il sacrale,)..un rito

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  4. Prima cosa che si assaggiava era a sfrittuliat.....😋

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  5. Tempi bellissimi, purtroppo per me troppo pochi, ma ricordo ogni cosa, il maiale appresso , mia nonna con i coltellacci che tritava la carne, il pentolino sul fuoco del camino per assaggio ed altro, gra di cuore x avermi portato a quei momenti

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