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IL TESORO DA GRÚTTË DU FÁUZË

 

Giovani Chiaromontesi alla grotta (sulla destra)
alla fine degli anni 60.
Archivio fotografico fam. Amendolara Franco




IL TESORO DA GRÚTTË DU FÁUZË
Di G.D. Amendolara

Sintesi di lunghe e approfondite ricerche

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Storia inserita in Archivio > ARRÆSË U FUÒCHË





Ciò che state per leggere
non è frutto della mia fantasia.


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LA LEGGENDA


Tempa degli Angari.
Altura ad est di Chiaromonte.
Alle sue pendici si trova una grotta.
Non è diversa dalle altre centinaia presenti nel territorio, ne nell’aspetto e tantomeno nell’utilizzo, perché un tempo facilmente raggiungibile, tranne la notte tra il 24 e il 25 dicembre,durante la celebrazione della Santa messa della notte di Natale.
Nel breve lasso di tempo dell’elevazione dell’ostia, la grotta svela ciò che segretamente custodisce per un anno intero: un antico tesoro.
Raggiungerla richiede tanto coraggio.
Anime rese dannate dall’avidità la proteggono, e con rumori e visioni terrificanti tentano di spaventare chiunque voglia raggiungerla, pronte a malmenarli e buttarli giù dalla rupe semmai avessero avuto un ripensamento o una reazione per respingerle.

Chiunque riesce a resistere e oltrepassarle, raggiunta la grotta dovrà lottare contro l’avidità che il tesoro istiga in loro, e accontentarsi anche di una sola manciata di tutti quei preziosi, per poi uscire prima che il prete abbassi l’ostia.

Se oltrepassato quel tempo, il bottino recuperato si trasforma in cenere.
Con o senza tesoro, nel ritorno, come l’andata, le anime dannate bisogna nuovamente affrontare con le stesse regole, se non si vuole finire malmenati e nel dirupo buttati.


 
La grotta come si presenta oggi
dopo i vari smottamenti e le frane subite
nell'ultimo trentennio.
Foto Gerardo Dragonetti



I MESSAGGERI
(Alla fine della storia trovate il link di collegamento alla storia pubblicata sui social)


Nelle storie tenute in considerazione per affrontare l’argomento, ad un certo punto compaiono dei personaggi che invitano alla rinuncia coloro che vogliono raggiungere la grotta.
Ad ogni rifiuto ricevuto mostrano sempre meno cordialità, con tanto di minacce e, all’ultimo tentativo, sempre con rifiuto, rivelano la loro vera fisionomia dalla parte superiore umana e quella inferiore caprina.
Sono esseri malefici che appartengono all’immaginario folkloristico Chiaromontese, legati anche al culto della morte, spesso presenti nelle storie tramandate che raccontano della loro apparizione lì dove muoiono coloro che non meritano il Paradiso.



Dall'interno della grotta




FÀUZË o ẞÀUZË?


Estratto dal libro Chiaromonte e l’antico chiaromontese
di Giovanni Percoco

“βáutsǝ

Nella parete sud della Tempa d'Angri è scavata una grotta denominata «yrúttǝ du ẞáuts», oggi appena riconoscibile.
Una leggenda popolare chiaromontese narra che la notte di Natale, quando il sacerdote celebra la messa, al momento dell'elevazione, li appaiono i diavoli, e se qualcuno ha il coraggio di recarvisi,potrà ritornare a casa carico di monete d'oro, purché non si spaventi dell'infernale fracasso che i diavoli creano con urla e catene e purchédurante il viaggio di ritorno non si volti indietro a guardare.
βáutsǝ è un termine latino: BALTEUS e significa «parete scoscesa». Tale infatti è la parete sud di quella grande roccia, mentre il versante nord non è così ripido e perciò da sempre è stato indicato nel nostro dialetto con un termine apparentemente diverso: «putsíəllə».”


βàutsë, o Vàuzë (con la V dalla pronuncia leggera) è un temine in disuso a Chiaromonte, pronunciato solo da chi parla il dialetto antico, e ci si identifica la grotta quale luogo.
Fàuzë, come falso, lo si collega alla leggenda, in quanto nessuno crede all’esistenza di questo tesoro.

 

La grotta, sullo sfondo, e ciò che rimane del sentiero




Scatto del 1982. Alunni portati in visita alla grotta
dal maestro Alfredo Tallarico
(alla fine della storia trovi il link del post sui social)





LEGGENDA O REALTÀ?


Certo, e incontestabile, è ciò che accomuna i protagonisti delle storie: la povertà.
Certezze, invece, sulla presenza del tesoro non ve ne sono, contrariamente sul tentativo di raggiungerlo, con l’ultimo che risale agli anni 50 del secolo scorso.
Alcune testimonianze narrano del ritrovamento di diverse persone scomparse nel tentativo di raggiungere o tornare dalla grotta.
Questi, oltre che in gravi condizioni, venivano trovati con le tasche piene di cenere e con le mani sporche di essa.
Che si tratti di “diceria” o di fatti reali è difficile stabilirlo, ma non impossibile, perché le leggende altro non sono che storie distorte dal tempo e dalle bocche, quindi con un fondo di verità.


La grotta vista da sotto. è il secondo buco da destra.
Foto Gerardo Dragonetti




EPILOGO


Quella della Grùttë du Fàuzë è quasi unica nel suo genere.
Di simile, almeno in Italia, ve ne è solamente una.
Collezionare ipotesi è l’unica cosa che ci resta, seppur personalmente ho scavato quanto più a fondo possibile.
Una cosa è certa, e su di essa non vi sono dubbi.
La leggenda del tesoro della “Grùttë du Fàuzë” è la madre di tutte le leggende Chiaromontesi, e vi assicuro che anche tra mille anni, la notte di Natale, ci sarà qualcuno che, con sguardo diretto alla Tempa degli Angari si chiederà: Chi u sæpë s’angùnë stanòttë c’è iutë alla Grùttë a së rëcoglië u tësòrë.


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Uno speciale ringraziamento a:
Luigi Amendolara (nonno), Franco Amendolara, Maestro Giovanni Percoco, Nicola Cicale, Gerardo Dragonetti, Antonio Vitale e Isabelle Veronesi.

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Link correlati

I Messaggeri > Clicca qui

Foto 1982 > Clicca qui

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Prièvëtë e prëssèpië


Di G.D. Amendolara
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Storia inserita in Archivio > Chiaromontesi raccontano




Don Franco Ferrara, a sinistra, e Don Lorenzo, a destra



Questa storia contiene termini dialettali


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Le aveva comprate a Napoli.
Ne era orgoglioso, e per questo del suo presepe Don Lorenzo ne parlava sempre con tutti.
Da quando assunse il ruolo di cappellano dell’Ospedale, curava nei minimi particolari quell’opera realizzata nell’atrio del vecchio plesso.
Dipendenti e Benedetta la centralinista davano il loro aiuto, ma mai quanto il suo braccio destro, Tonino Viola, che di presepi ne realizzava già nella sua casetta allu Purtièllë.
Per la Chiesa di San Giovanni le cose funzionavano diversamente, grazie alla folta schiera di fedeli.
Fino alla chiusura al culto della chiesa di San Tommaso, quindi fine anni 60, la realizzazione del presepe altro non era che l’apice della loro rivalità.
‘Ndramèndë chi prièvëtë marchëngëgnævënë a còmë u fǽ, i parrocchiani raccoglievano spòrtë di muschio, tavole, tavëllùnë, pietre, cemento, tegole, chiuòvë, stràzzë viècchië e quàndë chiù putiènë e servito alla realizzazione dell’opera.
‘Ngumëngiævënë a ‘ngiarmiǽ a fine novembre, e o vëdièsë che manghë i màstrë sòpë a nu candièrë, cu prèvëtë ca facìë da gëgòmëtrë e capë mastrë, e tuttë l’ætë a fǽ da manuvælë e dëscìbbuwë, in primis bambini e ragazzi, per far si che fosse pronto per il giorno prestabilito, di solito l’otto di dicembre o, al massimo, Santa Lucia.
Di questa rivalità ne sono testimone, in quanto mio padre appartenente a San Tommaso e mia madre a San Giovanni. È classico sentirli ogni anno ricordare l’uno all’altro “il mio è più bello”.

La chiusura della chiesa di San Tommaso diede fine alle rivalità.
Gli anni 80, e il concentramento dei fedeli in una sola Chiesa, non fecero venir meno ne impegno e ne passione.
Don Franco Ferrara prima e Don Vincenzo Lofrano a seguire arricchirono la festa con tanto di eventi in Chiesa, e di rappresentazioni della Natività che vedeva poi esposto il bambinello in piazza fino all’Epifania.


Il primo presepe realizzato
da Don Vincenzo Lofrano e i fedeli nel 1987


Venne anche il nuovo millennio, che dalla piazza portò via la realizzazione del presepe e l’esposizione del bambinello (da quando un “povero diavolo” decise di distruggerne una copia), e la natività rare volte è andata in scena, in Chiesa o tra le vie del centro storico, ma sempre con grande coinvolgimento dei fedeli.
Il presepe in chiesa, invece, del tempo non ha paura, ed è sempre li, ogni anno più bello, pronto a scaldare i cuori dei fedeli, e non solo.


Altare di San Giovanni addobbato per Natale.
1958

Tornando alla rivalità, tra le due chiese chi realizzava il presepe più bello?
Entrambe.
Non hanno mai sfigurato, nemmeno quando ne rimase una sola aperta al culto, con un solo presepe e un solo Parroco.
E non escludo Don Lorenzo, che con le sue meravigliose opere, oltre che un atto di devozione, regalava ai pazienti dell’ospedale quei momenti di spensieratezza e speranza dei quali avevano bisogno.


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Dicembre, Chiaromonte e gli anni 80

Di G.D. Amendolara
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Storia inserita in Archivio > Operazione Nostalgia anni 80


Dicembre.
Il freddo rigido aveva anticipato l’arrivo dell’inverno, che i cannuièrë non attendevano la prima neve per poter fare la loro comparsa.
Le montagne, coperte dalle nuvole, raramente mostravano a pieno la neve che le copriva.
Poche erano le giornate soleggiate.
Il fumo dei comignoli si mimetizzava con il cielo bianco osservato da ragazzi e bambini speranzosi di veder cadere i primi fiocchi di neve .
Ecco come si presentava il panorama negli anni 80,
con la neve sulle montagne che si sarebbe sciolta in primavera,
ma quasi del tutto permanente su Caramola e massiccio del Pollino


 
Fotogramma Rai©.
Chiaromonte anni 80
In piazza, dove circolavano più mezzi che persone, Sciambiònë aveva chiuso la baracchina all’esterno del negozio, e allë tubbë nessuno era fermo per una chiacchierata.
Per incontrare facilmente qualcuno bastava fare un giro per le campagne, dove si ultimava la raccolta delle olive, o nei frantoi, dove il profumo dell’olio nuovo ìëpë l’arië.

Il chiosco, in anticipo su tutti, aveva già addobbato la vetrina con la catena luminosa, così come Egidio il tabaccaio e Figundio con le cartoline natalizie.
Nelle scuole i preparativi per le classiche recite a tema coinvolgevano numerosi alunni, e con le feste ormai alle porte, si attendeva l’installazione delle luminarie per le vie principali, che come sempre si faceva aspettare.


Io e Rocco Zito. Recita di Natale 1987

Le temperature rigide non avrebbero trattenuto i giovani desiderosi di una passeggiata o di una chiacchiera seduto sulle panchine gelate del corso e dello zampillo.
Altri, soprattutto maschi, si radunavano nei bar in attesa di una partita ai videogames, mentre gli adulti tra urla, fumo e imprecazioni, caratterizzavano quei pomeriggi, mentre all’esterno pareva essere caduto chissà quale armistizio.

I botti avevano fatto la loro comparsa già da qualche settimana, ma dal primo, e soprattutto dopo la sirena delle cinque, nessun angolo del paese rimaneva illeso.


Egidio il tabaccaio con i suoi clienti affezionati
©Roberto Lacava

A ripristinare la calma ci pensava il tocco della campana delle sette e mezza, che strade e locali avrebbe svuotato.
Tutti a casa, con attenzione rivolta verso il meteo, speranzosi di vedere la neve tanto attesa.
Il rumore delle saracinesche dei negozi che chiudevano davano inizio alla sera.
L’ultima era quella di Egidio il tabaccaio che, attraversando una piazza deserta, si inoltrava nei vicoli per tornare a casa, mentre gli ultimi comignoli smettevano di fumare, e un ultimo botto in lontananza si sarebbe sentiva sparare.

Cosi aveva inizio dicembre negli anni 80, dove l’aria di festa aveva il profumo del fritto nei vicoli, che zeppulë, cauzungìnë e scaudatièllë preparavano.
A giorni sarebbero apparse le luminarie, mostrati i presepi in chiesa e all’ospedale, apparsi i giochi belli sugli scaffali del minimarket, sicuramente qualche zampognaro in giro casa per casa e sarebbero state diffuse le canzoni prima della messa, perché arrivava l'otto, e iniziava la festa… Arrivava Natale.


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Ludovico Nicola Di Giura

LUCANI PER LE VIE DEL MONDO
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Il dott. Comm. Ludovico Nicola Di Giura

Articolo de
"La Basilicata nel Mondo"
mag/giu 1925

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Storia inserita in Archivio > I Grandi Chiaromontesi





È una delle più belle e forti affermazioni dell’ingegno lucano dell’Estero. 
La sua maschia figura ha tutte le impronte fisiche della nostra razza e della nostra Terra, come il suo spirito ne ha tutti i pregi morali e ideali. 
Alto, robusto, erta la fronte luminosa. E il suo sguardo, mentre ha la dolcezza serena e ridente delle anime miti e buone, rivela la fierezza del carattere e la tenacia della volontà indomita. 
Nacque in Chiaromonte, da cospicua famiglia che vanta la più nobile e insigne tradizione di patrimonio e lealtà. 
Il padre, barone Giovanni Di Giura, prefetto del Regno, e la madre, donna Giuseppina Branca, che nella sua doppia missione di sposa e di madre, fu raro esempio di virtù, lo educarono alla più alta e rigida disciplina del dovere, secondo le più sane tradizioni dell’austerità domestica lucana. 
Ludovico Di Giura venne su pensoso, intelligente e studioso: giovanissimo si laureò in medicina e chirurgia presso la Regia Università di Napoli e, secondando il suo ingegno e le sue inclinazioni, pensò subito di mettere a profitto il tesoro di studi pazientemente e diligentemente accumulato e il titolo acquisito. 
Nato tra i monti brulli della Basilicata, egli aveva in sé una profonda passione per il mare. 
Ne subiva immensamente il fascino, e la sua anima venturosa e nostalgica, nomade e poetica, lo trascinava verso le solitudini infinite, fra mare e cielo, come un Ulisse o un Pierre Loti di un suo sogno inespresso. 
Ludovico Nicola Di Giura in alta uniforme
Colse occasione di un concorso bandito per medici nella Marina da guerra e vi partecipò. 
Riuscì secondo in classifica. E, sa quel giorno, si può dire ch’egli abbia sempre vissuto sul mare, imbarcandosi su tutte le navi italiane, che partivano in missione per l’Estero o in crociera per i mari del mondo. Un viaggio suo merita speciale medizione. 
Ludovico Nicola Di Giura, infatti, fu tra i pochissimi ufficiali dell’Armata prescelti ad accompagnare sulla S.A.R. il duca degli Abbruzzi, nel giro marino del mondo, a bordo della “Cristoforo Colombo”…
Era una ciurma elettissima, su una nave dal nome fatidico, e portavano il trionfo d’Italia su tutti i mari infiniti. Ludovico Di Giura profittò di quella occasione per recare il saluto della Terra Lucana alle colonie dei nostri comprovinciali sparsi nel mondo, e, specialmente, a quelle delle Americhe, che lo accolsero ovunque entusiasiasicamente e alle sorti delle quali egli si interessò con senno ed amore. 
Allo scoppio della Rivoluzione Cinese, nel 1900, il dottor Di Giura, notissimo per le sue doti preziose di organizzatore e animatore, fu mandato a Pechino con la missione italiana. 
E tale fu la sua opera, ch’egli riuscì presto ad affermarsi tra le personalità più eminenti dell’ambiente internazionale cinese, contribuendo potentemente ad accrescere il prestigio del nome dell’Italia nell’Estremo Oriente. 
Il fascino dei grandi fiumi, della civiltà del popolo di Buddha né acquisirono e sedussero l’anima sognatrice. Lo rubarono all’amore per il mare. E Ludovico Di Giura rinunziò nella Marina e si stabili a Pechino, come medico di quella Regia Delegazione Italiana. 
Quando divampò la guerra europea, egli si mise a disposizione del suo Governo, perché la sua opera di medico fosse utilizzata nel miglior modo possibile sui campi delle cento battaglie; ma, per quanto vive fossero le sue insistenze, il Governo credè doverlo lasciare a continuare la sua opera preziosa di Italianità in Cina. 
Egli non venne meno alla fiducia del Governo. In Cina, alla Corte, fra le autorità, nel popolo, guadagnò continuamente con la sua opera simpatia e ammirazione per l’Italia, e rese apprezzatissimi servizi al suo Paese. 
Oltre che medico e chirurgo di gran valore e studioso versatissimo di scienze, egli fu cultore e conoscitore esperto di molte lingue; e apprese così bene la lingua cinese, che divenne per questo popolarissimo a Pechino, anche fra gli indigeni, i quali ricorsero quotidianamente alla sua opera di medico reputatissimo. 
Fu nominato direttore dell’ospedale internazionale dei Missionari italiani, ed è stato insignito di moltissime onorificenze italiane ed estere, le quali attestano l’alta considerazione del dottor Di Giura è tenuto non solo nella vita civile, ma soprattutto in quella scientifica, per le sue svariate e interessanti pubblicazioni. 
Anche come inventore il suo nome è degnamente stimato. Nella nostra Marina Militare, infatti, si usa ancora un apparecchio chirurgico, detto “apparecchio Di Giura”perché da lui inventato. 
Egli fu anche cultore fine e sensibilissimo di arte, fedele alle tradizione della sua famiglia, che ebbe in tutti i tempi intelligentissimi amanti dell’arte del bello. 
Ed è prossima la pubblicazione di una raccolta di novelle originali cinesi, fedelmente tradotte dal dottor di Giura, e che di certo, riusciranno ad arricchire la nostra letteratura di preziose conoscenze di cose orientali, delle quali è tanto scarsa. Ne riparleremo a pubblicazione avvenuta. 
Dalla sua Terra di Basilicata, Ludovico Nicola Di Giura conservò ricordo ad affetto filiali, nostalgia e tenerezza ardenti, e fu vivissimo in lui il desiderio di ritornare, dopo una vita laboriosa e fervida di opere buone, dopo aver tanto navigato e tanto errato per le contrade del mondo, nella sua casa di Chiaromonte, ove i suoi concittadini lo circonderanno di ogni affetto e di meritata stima.

G. d. N.


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