Cerca nel blog

GHIÈRË STAGGIÒNË l’inizio dell’estate negli anni 80

Di G. D. Amendolara
☙_________________❧
Inserita in Archivio > Storie Chiaromontesi

Torneo di calcetto fine anni 80 vinto dal bar 2000
di Giovanni Sarubbi.
In foto: dietro Mariano Masciarelli, Pino Percoco, Giovanni Sarubbi,
Mario Grossi, Alfredo Murro. Davanti, Tonino Puppo, Fabrizio De Marco Grandinetti.
Foto: Fam. Giovanni Sarubbi

La storia contiene termini dialettali.
Alla fine del testo la traduzione dei termini ritenuti incomprensibili


Giugno, anni 80.
Passato San Giovanni iniziavano le vacanze per ragazzi e bambini di quel decennio fantastico.
Nessuna nostalgia per la festa e tutto il suo contorno, dalla fiera al luna park. Avevano altro a cui pensare, e poi il paese tutti i giorni ièrë na fèrë¹, soprattutto in piazza e dintorni grazie agli ambulanti abituali che occupavano ogni angolo disponibile: Nicola u Sënësærë al palazzo dei Cuccarese, Gësèppë u Sënësærë sottë a chiànghë d’Artùrë come u pëscëvènnuwë, u Tursëtænë alla Còstë e Sciambiònë ‘nda chiàzzë con la sua bancarella coperta dall’ombrellone blu-arancio ormai sbiadito dal tempo.
La sirena delle otto ufficializzava l’inizio della giornata, anche se il paese era sveglio già da qualche ora.
Da un momento all’altro Pascælë u bannëtòrë col suo “ATTENZIONE!”, rigorosamente dopo vari colpi di prova al microfono, gettava il bando annunciando spesso l’interruzione idrica, incompresa in quei giugno tanto piovosi.
Accummënzævë accussì n’ata fèrë, ‘ndi strìttuwë però, coi camion “I PATAN, I PATAN A CINQ MILA LIR O CHIL” e “MOBILI VECCHIA, ROBA VECCHIA”, e gli ambulanti a piedi come i pannacciari pugliesi, i venditori di scope e i marocchini² che con il loro YEP speravano di vendere almeno uno dë tuttë chìllë struòglië trasportati a spalla.
La buona stagione scatenava anche i cantieri all’aperto, a decine. Sia all’esterno che all’interno i màstrë accompagnavano i colpi dë cucchiærë e le impastate di cemento con fischiate e canzoni incomprensibili, e mentre alle fontane, Tuwuë e Grùttë dë l’Acquë in primis, si formavano le file per raccogliere l’acqua, arrivava mezzogiorno, mënævë nu truònë e pësciævë a gallìnë.
Chiaromonte. Pomeriggio metà anni 80

La sirena delle cinque, sovrastata dal giocoso garrito delle rondinelle che riempivano il cielo del paese, annunciava l’inizio dei pomeriggi Chiaromontesi, aggraziati dalla frescura di quei tempi. Infatti, non era insolito vedere qualcuno indossare le maniche lunghe. In verità gli anziani non rinunciavano ne al maglioncino e tantomeno alla giacca nemmeno ad agosto.
Gli anziani in piazza sempre con la giacca,
anche ad agosto.

Si radunavano i giovani.
Il punto d’incontro principale era lo zampillo, ma li trovavi ovunque, tra una passeggiata, la sosta al monumento, molteplici partite al biliardino al chiosco, con motorini o in bici, giocate a pallone in strada o proprio allo zampillo, un gelato a “La Terrazza” o da Nicola Donadio, una partita ai videogames da Sarubbi, Antonio o Cacchiònë, o tra i vicoli a giocare a qualsiasi cosa in qualsiasi posto e a qualsiasi rischio perché non pochi erano i palloni bucati, le sgridate e le minacce subite, ma anche i vetri rotti, i vasi spazzati in aria e quelle pallonate che povero chi finiva sotto un tiro maldestro.
No! Non sto inventando niente. Il paese era completamente vivo e in continuo fermento. E se lo era…
Giro di Basilicata, 1987.
Foto archivio fam. Amendolara Franco

A giorni rientravano i fuori sede³ e arrivavano i primi “turisti”⁴.
Cominciavano le “colonie giornaliere” per il mare, passava quasi certamente una tappa del giro di Basilicata (una festa per i più giovani pronti ad accaparrare quanti più gadget possibili), arrivava il circo al campo sportivo e iniziavano i tornei di calcetto in piazza, quelli dove i giocatori cercavano soprattutto di non volare dalle scale della chiesa, e se non sbaglio anche qualche edizione dei giochi della gioventù.
Torneo di calcetto in piazza. Fine anni 80.
Foto fam. Giovanni Sarubbi

Ripeto: non c’era spazio per la nostalgia della festa appena passata.
Era giugno, gli ultimi suoi giorni, iniziava ufficialmente l’estate, ghièrë staggiònë, e il meglio stava per arrivare.
La piazza in attesa del Giro di Basilicata. 1987.
Foto archivio fam. Franco Amendolara

_________________

Traduzioni termini ritenuti incomprensibili

chiànghë: macelleria
còstë: è la parete che parte da casa dei Figundio e arriva oggi ai parcheggi
struòglië: stracci o oggetti in generali ammassati o disordinati

_________________

Note
1- espressione dialettale che definisce un momento caotico, spesso il vociferio o rumore continuo e fastidioso
2 - in dialetto con marocchino si identifica chiunque abiti nella fascia del Magreb, che sia Marocchino, Algerino o Tunisino. Spesso vengono chiamati così anche i subsahariani. Non è assolutamente un termine razziale. Anzi, a Chiaromonte vengono addirittura chiamati con un altro termine, cuggì, ovvero cugino.
3 - Fuori sede, in qualità di studenti, in quegli anni ve ne erano pochi. Qualcuno studiava a Maratea o Sant'Arcangelo, ma la stra maggioranza dei ragazzi preferiva Senise o Latronico, facilmente collegati al paese, e pochi erano gli universitari. Dalla metà degli anni 90 si invertì la rotta ed aumentarono sempre più le partenze verso scuole e università fuori regione.
4 - con turisti si identifica (bonariamente) gli emigranti e le loro famiglie che rientrano in estate. 

__________________

Collegamenti alla Storia

E pùrë goië pìscë a gallìnë

______________

A PITTA LÌSCË

Di G. D. Amendolara
☙_________________❧
Storia inserita in Archivio > Tradizione culinaria

La storia contiene termini dialettali.


Pænë e gàcquë ‘nda na cæsë non hæna mæië mangǽ

"A tièmbë andìchë, almeno una volta a settimana, priesta matìnë sentivi le donne puziǽ, cu pænë avièna fǽ.
Ne sfornavano a šcanætë in un momento di aggregazione che coinvolgeva le famiglie e il vicinato, in paese e anche in campagna, un tempo tutti abitati.
O che rëcrièië se dal forno uscivano anche pëttëcèllë gundætë e cauzunièllë, ma se vedevano i pittë lìscë, oimmènë, perché consapevoli del duro lavoro che li attendeva, e pë sa mangiǽ s’aviena guadagnǽ".


Falùzzë a Parèndë all’opera.
Foto di Mario De Salvo

A pitta lìscë è uno dei prodotti tipici della nostra tradizione culinaria.
Dall’origine contesa da molti, risale probabilmente al periodo greco, fortemente influente a Chiaromonte e nel meridione in generale. A confermare tale tesi è il nome stesso, pitta, dal greco πιττα, pita, pane piatto, con la sola differenza del buco in mezzo nella nostra.
Povera di ingredienti (grano duro, acqua, sale e lievito madre), in forme che un tempo raggiungevano anche i 3 kg, dapprima utilizzata per testare le temperature dei forni prima di cuocere il pane, divenne col tempo parte del fabbisogno alimentare grazie al suo prestarsi ottimamente come contenitore di farciture salate, il che la rende probabilmente l’antenata dei panini (in particolare rosette e ciriole), prodotto diffusosi in paese solo dopo l’apertura dei primi forni commerciali.
A Chiaromonte ha un forte legame con la cultura contadina, e la sua produzione, come detto sopra, combaciava con i duri lavori nei campi richiedenti numerosa manovalanza da sfamare.
La forma piatta e la tenacia rendono la pitta lìscë un ottimo contenitore e conservatore di sapori.
Tradizionalmente fa binomio con la buonissima insalata di peperoni arrostiti, ma accompagna benissimo altre prelibatezze tradizionali come la frittata chi zafarænë, o zafarænë e patænë o chi zafarænë crùšchë, senza dimenticare u sauzìzzë arrëstùtë, assëlutë o 'nda frëttætë chi zafarænë, a tièmbë andìchë solo quando era tièmbë dë puòrchë, mentre con i salumi è coppia eccellente con la mortadella.

I pittë lìscë, sullo sfondo,
e in primo piano a pìttë cu sammùchë.
Foto Mario De Salvo.

Come per il pane classico sulla pitta lìscë non vi è tanto da raccontare, infatti potrei già concludere così, ma necessita che torni sul nome e su alcuni appunti a riguardo.
La continua evoluzione delle lingue parlate, dialetti inclusi, in accelerata dal secondo dopoguerra, crea spesso confusione sul significato di diversi termini, proprio come accade anche per la pitta lìscë.
Sento spesso chiamarla chëddùrë, un termine che già dalle due d evidenza la non appartenenza al nostro dialetto, infatti è calabrese ed identifica la pitta lìscë in alcune zone della regione.
Altro termine, questo appartenente anche al nostro dialetto, è strazzætë, ma a differenza del buonissimo prodotto aviglianese (anch’esso una pitta lìscë), per i nostri nonni era a pittë ca rìghënë, ai loro tempi strappata con le mani e usata soprattutto per l’inzuppo e la scarpetta.
Ultimo termine è cullërièllë che, a differenza degli altri due, non è ne confuso e tantomeno errato, ma Chiaromontese e, oltre ad indicare un panetto realizzato dai piccoli di casa con i grumi restanti dell’impasto per il pane, quindi anche un modo per renderli partecipi alle attività lavorative della famiglia, è il nome col quale i nostri avi chiamavano a pitta lìscë, e vò fiurìscë a vùcchë a chìllë picchë che cia chiàmënë ancòrë.


Dedicato a Mario De Salvo "u Parèndë",
amante e portatore delle tradizioni sino alla fine dei suoi giorni

_________________